Intervista a Francesca Romana Vender: dalla leadership ai talenti.

7 Ottobre 2019 09:34
14 min.

Apriamo la settimana del nostro blog con la Master Coach Francesca Romana Vender che in una approfondita e generosa chiacchierata ci ha parlato della sua storia professionale,  di metodi di lavoro, di leadership performativa, di coaching psychology, di coaching on line.

Chi è Francesca Romana Vender oltre il coaching?
Sono una professionista che da oltre 20 anni approfondisce i temi del cambiamento personale ed organizzativo e lavoro sullo sviluppo dei talenti. Sto creando con un gruppo di colleghi psicologi clinici, un approccio alla leadership performativa di cui sono appassionata, perche integra il lavoro sull’intenzione e l’attenzione come due facce di una medaglia che rende l’obiettivo autentico ed aderente a ciò che davvero è importante “per me”. Ne stiamo sviluppando il processo ed il metodo da applicar enei team e nel coaching individuale.

Quando e come nasce la consapevolezza di intraprendere quella che poi diventerà una “appassionata” carriera di coach-psicologico?
Nel 1992 lasciati gli studi, dopo dieci mesi di pratica legale, a Roma, ho incontrato una persona che mi ha innescato un processo di cambiamento personale e di carriera senza saperlo. Io ero il tutor in un progetto internazionale finanziato dalla Commissione Europea, che formava figure da inserire nel mercato del lavoro. Laura, che ora è direttore HR di una multinazionale tedesca venne a fare una lezione ai ragazzi sul Comportamento Organizzativo: parlava di temi soft come si direbbe oggi, cosi interessanti e che toccavano delle mie corde interne cosi profonde, che ho iniziato a leggere tutti i libri che riguardassero la persona ed il suo sé psicologico, il lavoro come luogo del proprio sviluppo, la soddisfazione lavorativa, con una grande curiosità verso il tema dell’intelligenza emotiva. Solo tre anni dopo Golemann renderà divulgativi gli studi di Boyatzis di Harvard e, con Annie Mckee scriverà Intelligenza Emotiva nel 1995. Diciamo una piccola grande vocazione ad occuparmi di sviluppo di persone all’interno delle organizzazioni.

Quali sono i tuoi impegni principali oggi?
Come Troisi mi piace dire che dedico il 33% del tempo alla facilitazione di gruppi, utilizzando approcci appresi negli Usa e UK, che amo per la loro concretezza, un altro 33% del tempo è di consulenza nella Business coaching psychology di gruppi ed individui, ed il restante 33% lo dedico a studiare e scrivere per animare il mio network di colleghi e professionisti interdisciplinare con l’obiettivo di essere parte di una rivoluzione che basa il business non sul profitto solamente ma sull’economia del dono circolare e gratuito.
Sviluppo comunità di pratiche professionali di coaching psychology con l’obiettivo di allargare la conoscenza su strumenti, teorie e metodi in ambito People ed arrivare a distinguere ciò che è di moda da ciò che porta risultati nel Business dell’Education. Infine mi sono avvicinata alla realtà Doyoucoach perche da circa 8 anni lavoro con una società inglese Coach-in-a-box, acquisita da BTS coaching, che chiude contratti di Executive coaching telefonico con multinazionali. Lavoro in italiano ed inglese con professionisti sparsi nel mondo attraverso questo strumento di sviluppo personale cosi accessibile: il telefono.

Parliamo proprio del coaching a distanza, on line. Che ne pensi?
Fino a 10 mesi fa non immaginavo in Italia esistesse un esperimento analogo a quello sopra descritto e pensavo che un Executive coaching che non fosse face-to-face non avrebbe mai funzionato nella cultura aziendale italiana di 3° millennio. Eccetto l’ampio uso di skype for business, come supporto alle conversazioni, non avevo visto fare coaching a distanza in modo ben strutturato e professionale. Organizzare le agende dei coach e coachee, prendere appuntamenti e disdire le sessioni di coaching, valutare l’efficacia e l’efficienza della sessione, accordarsi tra le parti sugli aspetti economici sono solo una parte dei servizi che rendono fluido un coaching a distanza. Non avevo visto altre modalità Corporate oltre BTS coaching. Poi ho scoperto l’esistenza di Doyoucoach.com ed eccomi qui a raccontarne l’impatto che credo si stia producendo con un sistema integrato che offre finalmente un coaching a distanza di qualità.
Dal mio punto di vista, quello che osservo è che il digital coaching filtra ed asciuga le cosiddette “small talk”: cioè tutto lo spazio della conversazione introduttiva, di contesto, di apertura della sessione. La spontaneità appare maggiore, e dunque l’ intimacy che si crea. Ci si sente di invadere meno l’altro e percepisco dalla parte del cliente minore sensazione di invasività. Le persone sperimentano ed apprezzano quanto si vada dritto al punto, le domande fluiscono senza distrazioni dell’ambiente. L’empatia si raggiunge con le preziose pause e silenzi, come sempre ma resi quasi obbligati dall’uso del telefono o dello schermo. Il turno di parola si rispetta di più da entrambe le parti; il contatto oculare è presente ma non aggressivo, grazie alla connessione, che mai mi ha “lasciato”, ed il raccontarsi, proprio grazie al sostegno oculare è cosi più incoraggiato. I gesti, soprattutto delle mani, risultano anche meno invadenti, più dolci e accompagnnoa comunque sempre le parole . La sensazione è che il coachee si concentri di più anche perché rimane nel suo ambiente, ha a disposizione i suoi appunti e supporti, e li condivide con la “modalità schermo” a sua disposizione se vuole. Lo stesso fa il coach quando ha bisogno di un esercizio che trova immediatamente nel suo pc e mette a disposizione del cliente.
Un altro aspetto importante è che nel coaching on line la discrezione, la riservatezza sono messe più in evidenza perché il digitale “screma” quello che è superficiale nella conversazione, andando a ciò che rimane implicito, facendosi subito più profonda e creando le condizioni per evolvere in un piano d’azione utile ed efficace. Infine, la qualità della presenza del coach è paradossalmente migliore (forse esagero), perché facilitata dalla distanza ed il distacco fisico, e quindi fatta di ascolto e meno ingombrante dal punto di vista della fisicità. Un po’ parafrasando Freud con il terapeuta, il coach è come morto ma c’è!

Cosa si aspetta dal coaching on line in futuro e da Doyoucoach in particolare?
Mi aspetto facilità di connessione, calendari più integrati tra di loro, conoscere il modo riassunto le disponibilità/mese ed il rendiconto/mese, un app per comunicare contenuti tra una sessione e l’altra ed infine aumentare le potenzialità del cellulare in linea con quelle del pc.

Le emozioni del cliente che ruolo hanno come canale di informazione per il coach?
Hanno un ruolo cardine! Sono lo strumento unico ed indispensabile per “sentire” dove si trova l’altro, come si stiano allineando intenzione, azione, parole ed attenzione. Non può esistere coaching senza un lavoro sulle emozioni proprie e quindi su ciò che sta vivendo il cliente. Ma la voce è corpo, ed anche se viene meno gran parte del visivo, la possibilità di concentrarsi sulla voce allena entrambe le parti all’ascolto, permette di comprendere tante sfumature.

Lei si occupa di Talent Development. Cosa significa oggi e come vede questa professione nel futuro prossimo?
Più che professione la considero, come hanno detto a Davos 2019, un’area strategica per lo sviluppo di leader che, oltre al business tengano conto del capitale umano delle persone che guidano. Definisco talento la capacità di trasformare ciò che arriva dalle esperienze di vita, e saperlo fronteggiare. Tutti hanno almeno un set di talenti, a seconda del tipo di intelligenza che ciascuno ha ereditato, ha coltivato, ha deciso di eccellere. Oggi le persone hanno estremo bisogno, soprattutto se giovani, di essere accompagnati nella scoperta di quello che sanno fare veramente bene sia sul piano professionale che umano, abbiamo tutti – dico – tutti, la stessa vocazione della farfalla e molto di più, e fallire nello sviluppo è rimanere a metà strada, peggio che crescere come dei gradevoli bonsai. Accontentarsi di chi si è diventati o rimanere imprigionati nelle convinzioni che l’età, le circostanze di vita, di cultura ci limitano, impoverisce la bellezza di questa ricerca. L’ambita ricerca di un posto fisso è purtroppo una delle peggiori traiettorie su cui può morire il talento, se non si ricorre a rimedi auto-generanti. Ci vorrebbe un Capo dello Sviluppo del Talento e dell’Apprendimento in ogni azienda, perché, di qualunque tipo sia, il talento si nutre di apprendimento non di “reddito di Cittadinanza”…