A colloquio con Michele Bartolozzi

Michele Gianluca Bartolozzi 27 Febbraio 2024 15:33
12 min.

Questa settimana abbiamo incontrato il coach Michele Bartolozzi per conoscere la sua storia professionale, il suo approccio al coaching e la relazione con il cliente.

Per iniziare, potrebbe presentarsi e raccontarci qualcosa di lei e del suo percorso professionale? Come è arrivato a diventare un coach professionista?

Ho iniziato ad interessarmi di coaching nel 2016. Lavoravo come HR manager in una grande azienda italiana e la mia responsabile fece fare ai suoi manager un corso per sviluppare un approccio “coaching” nella gestione dei collaboratori. Fui fortemente colpito dallo “spostamento” della prospettiva gestionale da una modalità di guida, valutazione e controllo ad uno di ascolto avalutativo e di sostegno alle persone; decisi che quello sarebbe stato il centro del mio stile di leadership ma anche del mio lavoro futuro. Da li ho iniziato con il percorso ICF (International Coaching Federation) per acquisire le credenziali, che ho conseguito (ACC) nel 2021.

Quindi una evoluzione professionale guidata dalla passione per il coaching. Quali sono state le tappe principali del suo percorso come coach? Perché ritiene che avere una credenziale sia importante nel mondo del coaching?

Mentre lavoravo come manager ho frequentato, durante i fine settimana, un corso certificato ICF per diventare coach. Successivamente, ho iniziato a fare delle sessioni “pro-bono” e progressivamente ho accumulato le ore di coaching necessarie per sostenere l’esame con ICF ed ottenere le credenziali. A quel punto la strada era tracciata, dopo qualche mese sono uscito dall’azienda in cui lavoravo ed ho iniziato a svolgere professionalmente l’attività di coach, che abbino a quella di formatore ed assessor. Il possesso di una credenziale di una delle grandi organizzazioni internazionali di coaching credo sia per i clienti garanzia di professionalità ed etica nella pratica del coaching.

Qual è la sua filosofia di coaching e come si riflette nel suo approccio con i clienti?

Come dicevo in azienda avevo già lavorato come HR manager e prevalentemente su temi di sviluppo personale e professionale. C’è da sempre questa idea che le persone – nessuna esclusa – hanno il talento e la capacità per essere padroni della propria vita in ogni ambito. Mi piace accompagnarli nella scoperta delle loro potenzialità e essere di supporto nella progressiva acquisizione di responsabilità ed autonomia, nella loro vita in generale e nell’organizzazione professionale in cui lavorano.

Potrebbe descrivere come struttura una tipica sessione di coaching e quali metodi preferisci utilizzare?

Da un punto di vista metodologico, nella sessione applico il metodo g.r.o.w. (obiettivi, situazione attuale, situazione futura, piano d’azione) utilizzando domande e feedback. Spesso, con il consenso del coachee, inserisco anche delle simulazioni (ad esempio di colloqui con i collaboratori o di selezione) perché penso sia utile un approccio anche pragmatico alla sessione.  Normalmente i coachee mi restituiscono impressioni di grande utilità nel fare le simulazioni. In generale, comunque, come coach mi faccio guidare dal coachee rispetto alle sue aree di interesse ed anche nella scelta degli strumenti che loro sentono più efficaci. Alcuni preferiscono avere feedback frequenti, ad esempio, altri magari il ricorso allo strumento delle “distinzioni linguistiche”, attraverso le quali si lavora sul linguaggio e sul significato che attribuiamo alle parole. In alcuni casi condivido le mie esperienze aziendali, chiarendo preventivamente che in quel momento sto facendo ricorso al mio vissuto personale; in ogni caso, chiedo quali emozioni o pensieri ha suscitato in loro la mia narrazione per stimolarli nella rielaborazione personale di quanto hanno ascoltato. Quello che faccio, in sintesi, è abbinare rigore il metodologico con la flessibilità che mi deriva dalle esperienze professionali che ho fatto che, in un certo senso, ritengo giusto mettere a disposizione dei coachee.

Passando a un altro aspetto del suo lavoro, quali sono le sfide più comuni che incontra nel suo lavoro di coach e come le affronta? Ha un approccio o una strategia specifica per aiutare i clienti a superare gli ostacoli?

Le sfide sono varie, anche perché ognuno di noi ha una sua unicità in quanto essere umano. Se parliamo in senso più stretto di tematiche ricorrenti, direi che la leadership, la gestione dei conflitti e delle relazioni interpersonali, lo sviluppo di processi creativi, il time management sono argomenti molto trattati. Un aspetto che mi colpisce è la frequente necessità che hanno le persone di riprendere il governo del proprio tempo, sia personale che professionale. Non esistono “formule magiche” per aiutare i clienti, anche se nella mia esperienza direi due sono i fattori critici di successo, la definizione chiara dell’obiettivo che si vuole raggiungere ed acquisire consapevolezza di quali sono le emozioni che guidano le nostre scelte.

Parlando di crescita, in che modo mantieni aggiornate le tue competenze e conoscenze nel campo del coaching?

L’aggiornamento professionale è in primo luogo un impegno etico del coach, così come previsto anche dal codice etico dell’ICF. Svolgo regolarmente percorsi di aggiornamento professionale e leggo molto sui nuovi trend sul coaching, sulla gestione delle risorse umane e sul management in generale; in questo periodo sto approfondendo ulteriormente i temi della leadership e dell’intelligenza emotiva.

È chiaro che l’impegno per l’apprendimento continuo e lo sviluppo professionale gioca un ruolo fondamentale nella pratica di coaching. Guardando al futuro, quali tendenze vedi emergere nel mondo del coaching e come ti stai preparando ad affrontarle? Dove vedi te stesso e la tua pratica di coaching nei prossimi anni?

Attualmente vedo una crescita progressiva dell’attenzione alla dimensione collettiva, e quindi sia group coaching che team coaching. In particolare, nel group coaching gli stessi coachee sono protagonisti non solo dello sviluppo delle loro competenze, ma sostengono anche la crescita di quelle degli altri partecipanti, attraverso lo scambio di esperienze ed un approccio loro stessi da coach. L’altra tendenza, a mio avviso, riguarderà l’utilizzo della realtà virtuale e dell’Intelligenza Artificiale come strumenti di facilitazione della fruibilità per tutti del coaching per la propria crescita professionale e personale. Ad esempio, attraverso l’Intelligenza Artificiale è possibile simulare interazioni tra il coachee ed interlocutori di varia tipologia (colleghi, capi, collaboratori, clienti) che poi possono essere oggetto di approfondimento nella sessione.

Un bel racconto questo finora, ma è la sua storia professionale. Quando il tempo del lavoro finisce a cosa si dedica? Ha delle passioni che segue? Le capita spesso di non staccare completamente dagli impegni lavorativi? Ritiene che i due ambiti debbano avere o meno momenti separati e perché?

Vivo il lavoro ed altri aspetti della vita come elementi integrati, penso che ci sia un’osmosi tra tutti gli ambiti dell’esistenza che si influenzano e si arricchiscono reciprocamente. Peraltro, ho la fortuna di fare il lavoro che mi piace e che ho scelto, per cui non sento l’esigenza di “staccare” mentalmente i diversi momenti. Ho una gamma di interessi direi abbastanza ampia, cose piuttosto semplici, secondo me, cinema e lettura, prevalentemente, e sport, trekking e bicicletta, tutto fatto all’insegna della tranquillità. Una cosa forse un po’ particolare è che ogni mattina mi prendo uno spazio di tempo che dedico alla pratica della meditazione; mi aiuta ad iniziare la giornata con il giusto equilibrio.