Le relazioni conflittuali ci richiedono di “stare” nella complessità e nell’imprevedibilità, di gestire la frustrazione che possiamo provocare nell’altro ed in noi stessi quando diciamo NO. Spesso siamo riluttanti nel dire dei no perché li consideriamo, a priori, un segno di chiusura.
C’è però una alternativa, quella di interpretare il no come occasione di apprendimento, come qualcosa che aiuta, che sostiene una trasformazione che ci riguarda ma nella quale possiamo anche includere l’altro.
Il no, in precise circostanze, crea uno spazio in cui comprendiamo che il nostro divenire e quello dell’altro, che i nostri desideri e quelli dell’altro, possono anche coesistere.
Oppure uno spazio in cui accettiamo l’unicità, la nostra come quella dell’altro, uno spazio in cui diventiamo pronti anche ad accettare i no dell’altro, uno spazio in cui il No è una maniera di esserci non di ostacolarci.
Esistono tanti tipi di no.
Un no importantissimo è il “no della resistenza” che appartiene alla sfera dell’educare e dell’aiutare a crescere; attraverso questo no i genitori affidano al figlio un compito per la vita: cercare la propria strada, faticosa e gratificante, nascosta e ricca di sorprese.
Saper utilizzare questo no è una competenza indispensabile per attivare un piano di sviluppo personale; molti pensano che sia il no a mettere in crisi un genitore, in realtà quello che ci blocca è la difficoltà di rispondere a domande emotivamente difficili : farò bene? E se poi soffrirà? Se poi non ce la farà? Mi starò sbagliando?
Ogni volta che attiviamo il “no della resistenza” stiamo facendo una scelta difficile ma che ci evita di alimentare proprio quella carenza conflittuale che invece ci fa restare nelle divergenze. Il no ci permette di essere noi stessi.; ha una funziona regolativa che, aprendo al confronto, prende in considerazione le informazioni che ci arrivano dagli altri.
Cosa ci serve per pronunciare un no? Richiamare il nostro coraggio, mettendo a frutto il nostro tempo e i risultati che otteniamo; il coraggio ci dà la possibilità di vivere una vita in cui i no non siano condizionamenti insormontabili, una vita in cui coltivare la nostra autenticità senza aver paura del giudizio, lasciandoci alle spalle la preoccupazione per ciò che gli altri possono pensare di noi; una preoccupazione che rischia di danneggiare le relazioni.
Un percorso di coaching può aiutarci a stare nelle situazioni conflittuali. Lo può fare aiutandoci ad esplorare le risorse di cui disponiamo, sostenendoci nel riconoscere la paura che ci impedisce di essere nel presente e nel futuro, ponendoci domande, quelle che ci mettono in contatto con noi stessi e con gli altri, che ci aiutano a comprendere quanto siamo pronti ad affrontare il conflitto tra ciò che vorremmo dire e le possibili conseguenze che avrebbe dirlo.
La domanda è l’attivatore di possibilità, allarga gli orizzonti del pensiero, stimola la riflessione profonda e il cambiamento; la risposta è l’attivatore del coraggio, del creare un piano d’azione che porti alla presa di responsabilità.
Il coaching accompagna nel ricostruire la mappa, a ridisegnare il percorso che aiuta a stare nelle situazioni che vorremmo rifuggire, nella consapevolezza che possiamo rivederle e rinegoziarle.