Quando un “no” ti migliora la vita

dire no 26 Maggio 2021 10:12
10 min.

Attenzione: se siete inclini ad indugiare nell’autocommiserazione questo articolo non fa per voi.

Numerose ricerche evidenziano il grado di tossicità che si può riscontrare negli ambienti lavorativi, non riferito in questo caso a parametri chimici di inquinamento ma alla difficoltà nel portare avanti il proprio lavoro in modo costruttivo: carichi di lavoro eccessivi protratti all’infinito, difficoltà ad accedere alle risorse necessarie per completare le attività secondo gli standard richiesti, mancanza di riconoscimento delle proprie capacità e conoscenze, feedback inesistenti o volti solo a sottolineare – spesso in malo modo – criticità, problemi, errori (ndr: questo tipo di richiami non andrebbero neanche chiamati feedback…visto che spesso si tratta solo di sfoghi estemporanei e distruttivi).

Anche nella vita quotidiana non mancano gli ambienti e le relazioni “tossiche”: senza scomodare i casi più gravi in tal senso, possiamo individuare numerosi casi nella nostra vita quotidiana in cui facciamo fronte a carichi di lavoro che eccedono la nostra disponibilità, a persone che danno per scontato che “noi ci siamo”, a richieste che non mettono mai in discussione la nostra volontà di esaudirle.

Qual è il paradosso di tutto questo?
Il nostro continuo “direi di sì” ci sovraccarica di compiti e responsabilità, andando a logorare le nostre risorse e sappiamo benissimo che energie e forza di volontà non sono infinte! Il non mettere un limite alle richieste altrui ci porta a non essere più in grado di portare a termine i compiti e le attività su cui ci siamo impegnati.

Così ci siamo accollatati più lavoro di quello che possiamo ragionevolmente affrontare e iniziamo ad essere sempre più in affanno sui nostri task e obiettivi, la qual cosa non renderà felice né il nostro capo né le altre persone con cui collaboriamo (e spesso sono proprio le persone che ci hanno caricato di lavoro extra) … Abbiamo “detto di sì” per dimostrare quanto siamo in gamba, quanto siamo responsabili e invece finisce che completiamo i nostri lavori in ritardo e spesso senza una grande qualità (sfido chiunque a essere creativo e problem solver dopo 10 ore di lavoro) … Volevamo mostrare la nostra bravura e diventiamo – invece – inaffidabili e poco brillanti agli occhi di colleghi e responsabili. Quando si dice che “al danno si aggiunge la beffa”.

Non va meglio sul fronte casalingo: ci siamo addossati mille incombenze, “non diciamo mai di no” alla richiesta di nessun amico (o anche solo conoscente) …altrimenti chissà che potrebbero pensare di noi? Finisce che siamo sempre più stanchi, nervosi e qualcuno prima o poi ce lo dice: “sei sempre suscettibile”, “sei sempre nervosa”, “mamma mia con te non si può stare tranquilli un attimo, sei sempre impegnata” …. Volevamo stima e accettazione dagli altri e otteniamo come riscontro che la nostra compagnia non è diventata poi così gradevole. Di male in peggio.

Colpa degli altri che non capiscono? Peccato avere attorno persone così poco empatiche? O forse – spesso inconsapevolmente – siamo conniventi in questo sistema?
Qual è il nostro grado di responsabilità? Perché gli altri chiedono, ma il “sì” lo diciamo noi, perché gli altri ci addossano impegni ma noi non ci sottraiamo, perché gli altri alzano il livello delle richieste ma noi non diciamo di no.
Ma è impossibile dire di no!” dirà qualcuno… Perché poi il capo non mi fa una buona valutazione, perché poi gli amici si allontanano, perché non sono una persona egoista, ecc ecc.…ed ecco che la pioggia degli alibi inizia. Si innesta un circolo vizioso in cui diciamo sempre di sì per ricevere approvazione e stima e finisce che ne riceviamo sempre meno.

Come rompere questo meccanismo infernale?
Parola chiave: consapevolezza. Consapevolezza di quello che siamo, dei nostri valori, della nostra importanza (che non è la somma di quello che facciamo…ma c’è molto di più). Consapevolezza che dietro ad ogni SI c’è sempre un NO e spesso quel “NO” lo rivolgiamo a noi, ai nostri bisogni, alle nostre necessità, ai nostri desideri.

Il percorso di coaching risveglia questa consapevolezza: del nostro valore e dei nostri valori, delle nostre capacità, della nostra volontà d’impegnarci o meno sulle richieste che ci vengono fatte.
È uscire dal bivio “O dico di no, O mantengo la stima e la fiducia degli altri” per passare alla logica: “dico di no E mantengo la stima e la fiducia negli altri”.
È un allenamento verso l’assertività: portare avanti i nostri valori, le nostre esigenze, le nostre idee nel rispetto dei valori, delle esigenze e delle idee degli altri.
È usare il nostro potere E curare il rapporto con l’altro, come è illustrato in maniera semplice e illuminante nel libro: “Il no positivo” di William Ury. (Sì, proprio lui, il grande negoziatore che ha operato, tra l’altro, nelle mediazioni nei conflitti in Medio Oriente, nei Balcani, nell’ex Unione Sovietica…qualcuno che di NO e di SI se ne intende).

Concludo con le parole di una mia coachee che in una sessione mi racconta – raggiante – il risultato dei primi “no” detti: “Non è successo niente!!” – Niente? – “Niente di quello che temevo! Il mondo è andato avanti lo stesso anche con i miei “no”: il lavoro è stato ridistribuito e adesso procede molto più fluido e creativo, i familiari si sono accollati qualche incombenza, finalmente mi sono ritagliata qualche ora per me e questo ha alleggerito l’atmosfera in casa, a beneficio di tutti”. Testimonianza di come possiamo dire dei NO costruttivi, a beneficio di noi e degli altri…provare per credere!

“Un «no» pronunciato con il più profondo convincimento è migliore e più grande di un «sì» detto solo per compiacere o, peggio, per evitare guai.”

Agnese Pelliconi