Navigare nel cambiamento: l’intervista al coach Giuliano Tarditi

1 Giugno 2020 08:55
12 min.

Prosegue il nostro cammino per conoscere i coach e il coaching nella vita di chi ne ha fatto la propria professione. L’incontro di questa settimana è con Giuliano Tarditi, coach con credenziale PCC dell’ICF con una lunga esperienza lavorativa in grandi aziende e con lui proveremo a capire meglio come lavora e quali strumenti usa.

Giuliano Tarditi

Proviamo a carpire qualcosa che vada oltre quello che appare sui social o nelle biografie ufficiali. Chi è Giuliano Tarditi?
Sono un positivo, quello del bicchiere mezzo pieno, che prova cose nuove, si impegna a farle funzionare e quando cade si scrolla un po’ di polvere, impara dall’esperienza dell’inciampo e riparte. La mia frase esistenziale è “goditi quello che hai, che non è poco”. Per me vuole dire di cercare di vedere il buono in quello che c’è intorno a te.
Nei ventanni in cui ho lavorato in azienda mi hanno assegnato molto spesso ruoli quali “responsabile area test” oppure “capo progetto sviluppo X” proprio perché questa caratteristica mi è propria.
Oggi che di mestiere sono un Coach (dal 2004)  accreditato PCC, ICF e sono anche un Trainer ho indirizzato queste mie qualità personali nel supportare gli altri. Se dovessi definirmi per quello che produco direi che sono un Agente del Cambiamento, un Change Agent per dirla nel linguaggio del business. Infatti mi sono specializzato nella nicchia della trasformazione dei comportamenti e formo, supporto ed alleno imprenditori, manager e venditori a sviluppare mentalità, visione e comportamenti adeguati per ottenere risultati in situazioni in evoluzione o in cambiamento. Li aiuto a governare il Change Management.

Come sei arrivato a fare questo mestiere?
Non è stato proprio spontaneo… ad un certo punto, a seguito di una ristrutturazione aziendale, come senti che capita a molti, anche a me è stato detto “non c’è più posto per te”. Ci tengo a dire, nulla di personale né legato alla performance, era solo logica aziendale. Allora dopo un normale periodo di confusione mentale, di ricerca di un altro posto di lavoro, tra le ipotesi ho cominciato a pensare a “fare formazione”. Ho recuperato un’altra caratteristica che mi era sempre stata riconosciuta in azienda e che era quella di far crescere le persone e formarle. In più mi piaceva stare in aula, avevo avuto esperienza come formatore aziendale della forza vendita. E così ho iniziato, tornando a scuola e affiancandomi a diversi colleghi. In modo particolare sono stato in Germania e Spagna dove ho preso prodotti e tecniche diversi da quelli presenti sul mercato italiano. Dopo qualche anno ho scoperto il coaching, ed allo stesso modo, sono andato prima a scuola a professionalizzarmi e poi ne ho fatto un mestiere.

Da questa storia quali insegnamenti condivideresti?
Primo insegnamento – La motivazione fa rendere tutto semplice. Quando credi in qualcosa, di piacevole o di utile per te (o entrambe le cose), qualsiasi sforzo e impegno ti sembra realizzabile, e in realtà non pensi neanche che sia uno sforzo. Da qui, una delle mie domande più ricorrenti che chiedo ai manager è “ Qual è il tuo SI più grande?” che vuol dire “a cosa stai dicendo SI quando fai quello che fai? Cosa ti motiva?” E via via, tutto il percorso di esplorazione attraverso i tuoi valori, convinzioni, visione , futuro desiderato etc. Io so che se la motivazione è evidente, consapevole, la probabilità di successo nel raggiungere quello che vuoi aumenta di moltissimo.
Secondo insegnamento – “Se avessi saputo, da manager, tutto quello che so adesso sulla relazione tra le persone e su come comunicare al meglio con loro, avrei ottenuto gli stessi risultati con metà fatica e creando un ambiente più sereno”.
Do valore a questo insegnamento perchè, nella mia carriera aziendale sono arrivato ad avere sessanta collaboratori, senza aver mai fatto un corso di Gestione delle persone o cose simili. E non me ne sto vantando. Le soft skills purtroppo non fanno ancora parte del bagaglio di formazione che viene assegnato ad un manager. SI ai corsi di vendita, di marketing, di Excel, di Sap,…mentre la gestione delle persone e delle relazioni viene lasciata alla buona predisposizione caratteriale ed alle attitudini personali del manager. E speriamo che me la cavo!
Quando ho cominciato a studiare le tematiche di leadership, gestione delle persone, Change Management e cosi via, ho rivisto tantissime situazioni che avevo vissuto come manager e sono testimone di quanto mi avrebbe aiutato sapere quelle cose, tra l’altro, molto spesso facilmente applicabili.
Questo mia consapevolezza mi motiva tantissimo a divulgare le soft skills in azienda perchè portano performance, non buonumore (che ne è solo un ottimo effetto collaterale!)

Nei tuoi vent’anni di esperienza nelle aziende quali sono stati i passaggi cruciali nel cambiamento delle strutture?
Rispondo di getto citando una cosa che vedo spesso. Ho osservato che i tempi di realizzazione di qualcosa, di un progetto, di una attività, sono più veloci e la pianificazione è più breve. Questo porta allo stesso tempo flessibilità e caos, pregio e difetto. La differenza la fa il modo in cui è gestito il processo. Può capitare a tutti di essere a volte in uno stato e a volte nell’altro, è la vita dell’azienda, ma quello che non va bene e succede è non avere consapevolezza di dove si è e chiamare flessibilità quello che è caos, per esempio.

Passando alle tue passioni, mi è sembrato di cogliere una particolare attenzione al mare e al navigare. Cosa vuol dire per te andar per mare?
Mi piace il mare, vado (meglio sarebbe dire, andavo) in barca a vela. Ho fatto per tanti anni regate e ancora oggi, a ritmo ridotto, esco un po’ per mare. Mi piace condividere questo episodio particolare: da ragazzo ho attraversato l’Atlantico su una barca a vela di 6,20 metri (è piccola, fidati) controvento, in due persone, facendo il record di traversata di quell’anno. La traversata è stata un incubo dal punto di vista del disagio fisico. Premesso che ero competente di vela e regate ma non di lunga navigazione, con spirito avventuriero ho accettato l’invito di un amico esperto e sono partito con lui, dai Caraibi verso il Portogallo, controvento. Mi sono trovato “a mia insaputa” per 33 giorni di seguito bagnato da capo a piedi, dormendo 2 ore a volta, da solo per 20 ore al giorno per via dei turni e dei riposi, in mezzo ad una tempesta per 6 giorni di seguito. Eppure, anche se nella preoccupazione di alcuni momenti, ogni istante risorgeva la motivazione a resistere per arrivare alla meta.
Quando unisco i puntini che vanno da questa storia giovanile a quella della mia evoluzione professionale, con l’episodio del licenziamento, il cambio di carriera, la ricerca di nuove opportunità, scopro che una caratteristica personale che mi definisce è la capacità di sopportazione del disagio e del sapersi rialzare. Il termine più giusto direi che è la Resilienza.