Il nostro viaggio tra le storie dei coach prosegue con Stefano Busetto che lasciato il lavoro in azienda ha scelto il coaching che per lui «rappresenta una vera e propria missione» che lo porta «a incidere sul benessere delle persone in modo diretto». Il coach Stefano Busetto ci svelerà anche le sue passioni personali in qualche modo anch’esse collegate alla sua prorfessione.
Come hai conosciuto il coaching?
Devo ammettere che il lavoro di Coach mi ha sempre interessato sin da quando scoprì l’esistenza di questa disciplina, ma il mio avvicinamento alla pratica è avvenuto per caso. Quando lavoravo per Accenture e fui promosso al ruolo di Team Manager mi venne spiegato che avrei dovuto occuparmi tra le altre cose anche di fare le sessioni di coaching aziendale per i membri del team di cui ero a capo.
Quindi ricevetti subito una formazione specifica di orientamento, per imparare come organizzare dei percorsi e produrre report sui risultati. Negli anni in cui ho ricoperto quella mansione mi sono trovato a svolgere decine e decine di ore di coaching che mi hanno dato confidenza e mi hanno permesso di crescere velocemente. Tra tutti i compiti che dovevo svolgere come Team Manager era uno dei più importanti, e per questo era previsto che ci dedicassi molto tempo ed impegno. È stato in quell’ambiente che ho preso consapevolezza sulle mie qualità di coach ed è stato proprio durante quel periodo che mi sono appassionato al coaching. Devo dire che è stata una fortuna avere l’opportunità di approcciarmi a questo mondo a livello professionale fin da subito.
Ma cosa ti ha spinto poi a diventare un coach?
Principalmente è stato il riconoscere che potevo avere un impatto positivo sulle persone. Realizzando che se avessi voluto offrire degli accompagnamenti personalizzati avrei potuto incidere sul benessere delle persone in modo diretto, ho cominciato a capire che dedicarmi ad un’attività del genere mi avrebbe regalato al tempo stesso realizzazione e gratificazione, ovvero quella completezza che credo tutti vorrebbero trovare nel proprio lavoro. In effetti per me il coaching rappresenta una vera e propria missione oggi, mi concilia con i miei valori e mi dona la soddisfazione che a quel tempo il lavoro che facevo in azienda non era in grado di darmi. Infatti decisi di lasciare la mia posizione per mettermi ad aiutare gli altri, sebbene fossi nel pieno della mia carriera, iniziando con il tornare a studiare per allargare la mia formazione, e costruirmi così una professione che potevo gestire autonomamente.
È stato semplice lasciare un lavoro importante per mettersi in proprio?
Dal punto di vista emotivo si, è stata una decisione quasi suggerita da dentro, ed è per questo che non ho avuto dubbi. Dal punto di vista delle certezze sulla mia vita e le aspettative degli altri invece ho dovuto sopportare una certa resistenza. Ci è voluto un po’ di coraggio. Spesso le persone non capiscono che certe scelte vengono fatte per motivi che hanno a che fare con la propria ricerca di identità e riconoscimento, ma sono portate a credere che la solidità finanziaria e le promesse di crescita in termini di carriera debbano venire prima di ogni altra considerazione. Chiunque ti darebbe del matto se lasci un lavoro da manager, ma io credevo e credo tuttora che la cosa più importante sia avere la serenità di poter decidere senza remore cosa è meglio per sé, sempre ascoltando i buoni consigli che alcuni ci possono dare, ma mai ragionando con la testa di qualcun’altro.
Nei tuoi social parli spesso di trasformazione, ecco cosa intendi per viaggio di trasformazione?
Il viaggio di trasformazione non è altro che il nostro percorso di vita, ma non inteso come un trascinarsi da un punto ad un altro, bensì come un viaggiare idealmente verso la scoperta, attraverso varie tappe e punti intermedi. Spesso gli adulti si sentono arrivati una volta che ottengono i loro agi, e credono di avere la verità in tasca perché hanno accumulato un po’ di esperienza e finalmente si possono crogiolare nella pigrizia. Ma questo può coincidere con una fase in cui si entra in stasi e ci investono dubbi, conflitti interiori e inconsapevolezza. Io credo che per evitare di perdere connessione con noi stessi, con la nostra autenticità e la nostra natura intima, sia importante non sentirsi mai arrivati. Ed il viaggio simboleggia l’attitudine al continuo progredire, anche lento, ma costante, mentre la trasformazione simboleggia il fatto che noi, cambiando con gli anni, così come cambiano le persone intorno a noi e la realtà che viviamo, dobbiamo mantenere alcune abitudini che ci mantengono pronti ad evolvere di pari passo con l’ambiente che ci circonda. Il viaggio di trasformazione serve per non cadere nell’apatia ma piuttosto allenarsi ad essere individui lucidi e pronti alle sfide, e che desiderano maturare sempre maggiore consapevolezza su tutto quello che sta attorno a noi.
Mi sembra che il suo continuo riferirsi al viaggio abbia qualche legame con il passato e anche con il suo presente di guida occasionale per la città in cui vive, Lisbona. È un legame casuale o c’è qualcosa di più?
Si è così, e direi che si tratta di un legame intimo. Per me il viaggio è presente, passato e futuro. Sono cresciuto emozionandomi all’idea di potermi spingere alla scoperta di nuovi posti, nuove culture. Esplorare l’ignoto ha sempre mosso in me alcune corde molto stimolanti. Penso che sia stato proprio questo spirito a tenermi sempre in movimento, con la voglia ed il desiderio di andare un po’ più in là, cambiando spesso città o Nazione in cui vivere. Lavorativamente in passato ho anche approfittato di questa passione per guadagnarmi da vivere. Nei primi anni a Lisbona organizzavo walking tour per introdurre i viaggiatori alla città, dal momento che divenni rapidamente un conoscitore esperto delle sue vie, della sua gente e della sua storia.
Un’altra sua passione è la musica. Ci dice qualcosa di più? Le è mai capitato di seguire come coach un artista?
No, non mi è ancora successo ma penso che mi piacerebbe molto. Io stesso ritengo di avere l’anima dell’artista, quella propensione a creare, rappresentare raffigurazioni che l’immaginazione suggerisce. È una cosa difficile da spiegare che credo abbia a che fare con un grande desiderio di espressione che esige di essere materializzato. Infatti uno dei miei hobbies è quello di produrre musica, posseggo un controller Midi a casa che funge da piano e altri strumenti, che mi permettono di creare tracce che registro con il Computer. Adoro quando riesco a incastrare le sintonie tra i suoni, metterli in griglia con la sezione ritmica e comporre così un brano finito. Lo faccio per puro divertimento.
Cosa pensa di poter dare come coach?
La consapevolezza. Mi riferisco a quella fonte di fiducia che troppe persone credono di non possedere, e che le induce a credere che non sia possibile attuare cambiamenti. In molti preferiscono evitare di illudersi che le cose possano migliorare e perciò si abbandonano alla disillusione e allo scetticismo. Ecco io vorrei aiutare le persone a capire che dipende tutto dalla voglia e dalla convinzione che si mette nel raggiungere gli obiettivi, perché i blocchi che ci frenano spesso sono solo delle congetture che vivono nella nostra testa ma non corrispondono alla realtà. Quando riesco a liberare le persone da questa schiavitù, sento che sto portando avanti la missione che mi identifica come Coach.