Simona Sassu: il coaching una scelta personale e professionale

Simona Sassu 18 Febbraio 2025 07:25
14 min.

Abbjamo incontrato la coache Simona Sassu per conoscere meglio la sua storia personale e professionale. Simona Sassu è una professionista con più di quindici anni nelle vendite, ha lavorato per le grandi aziende tech mondiali, laureata in psicologia, con diversi anni di vita all’estero. Di recente è tornata a vivere nel suo Paese, in Italia. Vive e lavora come coach a Roma, con suo marito e sua figlia di 7 anni.

Perché Simona è diventata coach?
Il coaching mi ha letteralmente cambiato la vita.
Durante l’emergenza pandemica, sono andata incontro a momenti di incertezza professionale dovuti ai vari cambiamenti che il mercato del lavoro affrontava, e che hanno incluso anche le grosse organizzazioni tecnologiche americane nelle quali lavoravo a Dublino. Queste difficoltà, che ero riuscita a superare col tempo e la pazienza, mi hanno portato a confrontarmi con le mie fragilità. Ho sentito la necessità di trovare degli scopi “altri” rispetto alla mera carriera, qualcosa che fosse molto più importante e appagante sotto il profilo umano. Qualcosa che potesse aiutare altre persone in quel momento specifico, intendo durante la pandemia, ma anche in generale nella vita e nella carriera.
Mi sono riconnessa con l’ambito della psicologia, materia che avevo approfondito nei miei studi, e ho pensato a un percorso che potesse riavvicinarmi a ciò. Ho scoperto il coaching e mi ha profondamente cambiato in meglio, come persona e come professionista. Mi ha dato accesso a molte risposte, offrendomi la possibilità di capirmi meglio, e affrontare con molta più serenità, sfide e opportunità della vita. Questo è ciò che oggi cerco di trasferire con la mia pratica anche agli altri.

 

In che cosa il coaching può veramente aiutare a “cambiarti la vita”?
Il mio personale percorso di formazione come coach, fatto a Dublino, presso una scuola qualificata di ICF (International Coaching Federation), mi ha dato la possibilità di conoscere le fragilità umane, sui quali il coaching si concentra nella sua pratica, quali ad esempio: il fatto di dubitare di sé stessi, il tema dell’autostima, bias e pregiudizi, ansie, paure, ecc. Concentrarsi su questi aspetti, che ci accomunano tutti, aiuta a farci sentire uniti di fronte a queste sfide, portandoci ad essere in comunione con gli altri e più empatici. Il percorso da coach ti allena ad essere una persona migliore, dove giudizi e pregiudizi devono essere portati all’attenzione con consapevolezza, insieme anche al controllo dell’”ego”, che ci porta a sbagliare e a prendere le cose troppo sul personale. Ho anche imparato a vivere di più nel presente e cercare di essere grata ogni giorno!
Tutti questi “allenamenti” servono per dare un servizio agli altri nella pratica del coaching, ma soprattutto, per me, è stato come riscoprire un’anima che mi apparteneva, forse quella migliore, e ad invitarla a convivere in me stessa. Sono molto grata per questo.

Da quello che mi dice il percorso di coaching sembra assimilabile a quello psicologico…
Seppure abbiano in comune l’oggetto di attenzione, che è l’essere umano e il suo comportamento (mia area di primario interesse), coaching e terapia psicologica hanno basi, approcci, pratiche e aree di intervento molto differenti. Per esempio, il coaching si concentra sul presente vissuto dal cliente per ottenere un cambiamento nell’immediato futuro e raramente si sofferma su dinamiche avvenute molto indietro nel tempo. Viceversa, la pratica psicologica, rivolge spesso particolare attenzione, anche terapeutica, ai vissuti molto antecedenti al presente delle persone. Le tematiche affrontate, inoltre, potrebbero differire. Lo psicologo ha come obiettivo il benessere psicologico dei pazienti e dei clienti, compreso diagnosi e terapia di eventuale disagio mentale; il coach si occupa invece di sviluppo personale e del raggiungimento di obiettivi. Entrambi hanno, di certo, la caratteristica di avere un grande impatto nella vita delle persone, ed è questa la similitudine che io ricercavo per la mia pratica.

Quali sono i maggiori benefici personali e professionali che il coaching le ha dato, quindi, nella sua esperienza?
Provenendo da una carriera commerciale, è quasi immediato affermare che i venditori siano personalità “istrioniche”, sicuramente volte al rapporto sociale, ma soprattutto abbastanza “egoiche” e centrate su sè stesse, (facendo un parallelo molto colorato della mia categoria :). Direi, dunque, caratteristiche piuttosto contrastanti a quelle associabili a un coach.
Grazie alla pratica e alla formazione di questa nuova professione, sono cresciuta molto nel modulare diversi aspetti della mia persona. Utilizzando le mie attitudini e comportamenti tipici della professione di sales, che sono di certo utili, le ho associate a un buon controllo generale del mio rapporto con gli altri, decentrandomi da me stessa, accogliendo gratitudine, comprensione e vicinanza. Tutto questo, grazie al grande lavoro di consapevolezza verso me stessa che faccio da coach per i miei clienti durante le sessioni, e che inevitabilmente mi porto dietro oramai in ogni cosa che faccio. Devo dire che questa “combinazione” mi ha portato ad avere vantaggi competitivi nella professione e nella vita. Proprio per le ragioni dette sopra, come coach sono un profilo stimolante: arrivare dal sales e fare coaching non è uno dei percorsi professionali più immediati, ma proprio per questa ragione, penso di poter offire ai clienti questo mio personale bagaglio di esperienza.

 

Lei ha una certificazione AOEC Systemic Team Coaching. Ci spiega di cosa si tratta?
Il Systemic Team Coaching è un approccio che guarda ai team di lavoro come a dei sistemi complessi, che quindi richiedono un’analisi a diversi livelli per poter essere letti. Dalla lettura dei sistemi, si passa quindi alla pratica del coaching che, utilizzando la teoria delle 5 discipline di Peter Hawkins, aiuta il coach a lavorare nei team più efficacemente, cercando di non trascurare alcun aspetto che ne influenza le dinamiche. Io ho una certificazione rilasciata da AOEC (Academy of Executive Coaching di Londra) e quindi seguo questo approccio per lavorare con i team all’interno delle organizzazioni.

Di tutti i casi di coaching che ha affrontato ci può raccontare qualche esperienza significativa evidenziando i benefici ottenuti dal cliente?
Ho lavorato bene con expat, italiani all’estero e problematiche relative a questa condizione, sia nel life che nel career. Mi è capitato di lavorare proficuamente con tematiche relative a progressioni di carriera, al miglioramento della comunicazione per renderla efficace, al superamento di sfide e paure. Nel percorso di coaching si riesce a evidenziare e utilizzare i nostri punti di forza e di esperienza.
Un cliente che ha lavorato con me, in un ciclo di cinque sessioni, ha ottenuto un avanzamento di carriera, un progetto da dirigere all’estero e un aumento considerevole dello stipendio annuale. Tutto questo lavorando su comunicazione, autostima, consapevolezza sui propri bias e pregiudizi, e sulle paure. Credo che questo risultato sia da prendere ad esempio come un ottimo ritorno dell’investimento se si decide di allocare risorse al servizio del coaching.

Un’ultima domanda: lei ha una notevole esperienza nel mondo delle aziende tecnologiche. Che opinione ha di questa corsa all’Intelligenza Artificiale? Pensa ci sia qualche utilizzo nel coaching e in quale direzione?
Si tratta di un tema molto dibattuto. La corsa è inarrestabile, ed è anche insita nella nostra necessità di sperimentare e conoscere. Perciò ineluttabile. Di solito, qualsiasi previsione rischia di essere o troppo azzardata o, al contrario, superata, rispetto a poi alla realtà che si palesa. Perciò, quello che è il mio parere, è che di certo l’intera vita dell’essere umano ha una buona probabilità di essere condizionata da questa nuova tecnologia, in ambiti e direzioni ancora difficili da chiarire. Al momento l’AI è capace di trovare risposte e simulare una sessione di coaching, ad esempio, ma sarà difficile che sarà in grado di sostituirsi completamente all’uomo, mancando di sensi, empatia, lettura del vissuto e vicinanza emotiva, caratteristiche essenziali per fare al meglio questo lavoro. Nelle organizzazioni, il contatto tra esseri umani, la “lettura” dei team di lavoro e delle loro dinamiche, l’esperienza di persona, difficilmente possono essere “demandate” a un algoritmo. Perciò queste limitazioni, non consentono ancora a questa tecnologia di lavorare con completezza in questa direzione.
Per concludere, è probabile essa possa integrarsi come strumento, nella pratica del coaching, aiutando l’essere umano, ma difficilmente potrà prenderne parte attiva o unica. Forse è il modello più sostenibile in questo rapporto di convivenza, a cui possiamo pensare di ambire nel prossimo futuro.