La forma mentis del coach e il teatro

teatro coaching 18 Gennaio 2021 07:00
7 min.

Quello del coach è un “mestiere” impegnativo in tutti i sensi, perché si porta dietro come e più di altri, alcune aspettative verso se stessi: la necessità di far succedere risultati, di guadagnare la fiducia del coachee, di rifuggire i suggerimenti, di ascoltare quando si è abituati ad affermare, di interrompere quando si è soliti stare in silenzio.

Sono aspettative che se vissute dal coach come un’ossessione, possono pregiudicarne le prestazioni.

Il coaching mi ricorda il teatro che ho frequentato da attore, regista e autore amatoriale. C’è qualcosa di molto simile nel meccanismo delle aspettative: la smania di essere all’altezza, l’ossessione per il copione, la tendenza a pretendere inconsapevolmente che il pubblico sia dalla tua parte, il timore di non essere presente ai compagni di palcoscenico, l’ossessione alle “intenzioni” recitative. Succede quindi che l’attore, la cui attenzione è catturata da questi pensieri, si perda il “presente” della rappresentazione, il momento esatto della performance, e cominci a “telefonare le battute”, a rompere il ritmo, finendo per apparire innaturale.

Come nel teatro, il coaching si fonda su un presupposto fondamentale: mantenere la qualità della relazione. E per rispettare questo presupposto è bene che il coach veda la propria competenza comunicativa come un’autentica competenza professionale, che come tale va nutrita, allenata continuamente.

Lavorare sulla propria competenza relazionale, significa proteggersi da un rischio che il coach corre continuamente: quello di considerare inconsapevolmente e di volta in volta il coachee: uno strumento per la realizzazione dei propri risultati o per confermare la propria bravura o la propria empatia, una minaccia alla propria prestazione. Il rischio dunque di considerare inconsapevolmente il coachee un oggetto e non un soggetto.

Quando è in questo “mindset introverso”, il coach è occupato a rincorrere le voci interne che gli dicono se sta facendo o no la cosa giusta, se sta rispettando i requisiti prescrittivi del coach job profile, se è adeguato all’“immagine ideale di coach”. È il giudizio verso sé stessi che prende il sopravvento. Si dice spesso nella letteratura che occorre “sospendere il giudizio rispetto al coachee”. Sento il dovere di rettificare parafrasando ciò che afferma Emma Rosenberg Colorni¹: non occorre sospendere, occorre proprio smettere del tutto, e prima di farlo nei confronti del coachee, occorre farlo nei confronti di sé stessi.

Il giudizio si deve trasformare semplicemente nell’osservarsi, nel capire quando l’attenzione è rivolta al presente della relazione e quando invece prende altre strade, nel valutare in che misura i propri comportamenti portano ai risultati che soddisfano i propri bisogni e modificarli quando non succede. In questa situazione “di flusso”, in cui si sta nella relazione, i risultati arrivano perché la relazione diventa il centro del coaching. Mark Kahn la riconduce infatti, nella sua metafora del Business Coaching², al tronco dell’albero, al “cuore” che collega le radici alle foglie.

È un tema di autoconsapevolezza, di imparare ad osservarsi senza giudizio: apprezzare semplicemente il fatto di essere presenti, mentre si è presenti. La chiamerei la formula del “Take it Easy and Coach”, molto vicina a quella del teatro che in buona sostanza recita “Vai e goditela” con un mood pieno anche di una certa autoironia (come dimostra la frase che gli attori si dicono ad alta voce per augurarsi buona fortuna prima che il sipario si apra).

L’essere presenti fa la differenza tra il far accadere e il non far accadere, perché significa mantenere alta la qualità della propria attenzione nei confronti del coachee. Tutto questo altro non è che, citando Marshall B. Rosenberg³, l’empatia, lo stato della relazione che fa accadere le cose, che accelera i risultati.

 

¹Emma Rosenberg Colorni, “Lavorare senza Offendersi, come gestire emozioni e conflitti.”,  Ed. Guerini e Associati
²Mark Kahn, “Coaching on The Axis, Working with Complexity in Business and Executive Coaching“, ed. Professional Coaching Series
³Marshall B. Rosenberg, “Comunicazione e Potere“, ed. Esserci