Prosegue il nostro percorso di presentazione dei coach, dei loro sistemi, valori e pratiche. Questa settimana abbiamo incontrato Paola Valeri, coach di lunga esperienza e con un bagaglio di esperienze su campo fatte anche in Spagna e Regni Unito
Nella sua presentazione ha scritto: «Ci sono dei momenti in cui il cambiamento chiama alla porta e bussa forte». Quando e come questo cambiamento ha significato la carriera di coach?
Il desiderio di dedicarmi al coaching e la consulenza mi ha accompagnata per diversi anni quando ancora coprivo funzioni di management in una grande organizzazione. Mi tratteneva una forte lealtà verso quell’organizzazione che mi aveva permesso di imparare tanto sullo sviluppo delle persone. Dare il salto mi costava soprattutto dal punto di vista del contratto emotivo con colleghi e collaboratori.
Quando però le scelte dell’organizzazione iniziarono ad andare in una direzione che contrastava con i mei principi, la decisione si fece chiara. Anche il prezzo da pagare divenne chiaro, principalmente l’incertezza. Le circostanze iniziarono a mettere in discussione i miei valori, la mia coerenza. Da una parte sentivo il timore per il cambiamento, dall’altra sentivo che ai miei colleghi e collaboratori dovevo una azione congruente con il lavoro fatto in tanti anni: “walk my talk”. E mi tuffai nel cambiamento.
In questi anni di sessioni coach qual è stata la difficoltà più frequente nella relazione con il cliente? Posto che le storie sono personali, come l’ha affrontata?
La difficoltà più frequente che incontro è l’attitudine del cliente che tende a cercare fuori, nel coach, approvazione e risposte. La funzione del coaching è quella di mostrare al cliente le risorse e i talenti che non riesce a vedere, con cui ha perso il contatto. La libertà e la crescita personale, professionale e anche di un progetto, richiedono responsabilità per affrontare l’incertezza. Scegliere richiede una dose di fiducia, in sé stessi prima di tutto, e anche nelle dinamiche dei sistemi in cui ci muoviamo (familiare, lavorativo, sociale ecc.).
Il mio sistema di lavoro gira attorno alla fiducia e la responsabilità come fattori chiave della libertà (e capacità) di crescere, sia delle persone sia di un progetto aziendale. In fondo si tratta di essere consapevoli della posizione che occupiamo nei nostri diversi sistemi, e di quali movimenti utili possiamo realizzare lì dove ci troviamo.
Lei lavora molto in Spagna. Trova differenze nel modo di utilizzo del coaching tra le aziende italiane e spagnole?
A mio giudizio, la cultura spagnola è più centrata sull’azione e l’assunzione di rischi, mentre la cultura italiana è più interessata all’eccellenza, più tradizionalista. Le punte di eccellenza, e ce ne sono tante, spesso nascono da individui fuori serie e meno spesso da un processo di creazione collettivo. Per rispondere alla domanda, e facendo una inevitabile generalizzazione, direi che le aziende spagnole cercano nel coaching sperimentazione e trasformazione, anche come percorso individuale nell’executive coaching, mentre in Italia si cerca soprattutto l’integrazione delle persone con le strategie aziendali. Credo che sarebbe un grande beneficio se la ricerca dell’eccellenza riuscisse a sposarsi con il dinamismo dei nostri cugini iberici.
Lei parla di sistemi e valori. Può spiegare a cosa si riferisce e che relazione hanno con le aziende alla ricerca di risultati?
Nelle aziende ci si dovrebbe chiedere spesso: che ruolo vogliamo dare alle persone che devono implementare la strategia aziendale e creare i risultati. Questa in fondo è la più grande decisione. Le aziende di successo sono quelle capaci di raccogliere e mettere in valore tutti gli input che vengono dall’interno dell’azienda, e anche dal mercato. Fare questo significa, nella pratica, mettere determinati valori al primo posto e spostare in un secondo piano i valori più tradizionali, come il potere o la gerarchia.
Le persone vogliono sentire che contribuiscono al successo di un progetto e per questo hanno bisogno di un ruolo e di spazio per esercitarlo.
È compito della leadership creare l’ambiente propizio dove possano prosperare idee e capacità. Ai leader aziendali oggi si richiede una grande capacità di osservarsi, riconoscere le trappole li bloccano, rompere quelle barriere e guidare il resto dell’organizzazione verso nuovi orizzonti.
Azioni nuove e motivazione partono dai valori: a seconda di quale valore mettiamo al primo posto, otteniamo dei risultati diversi.
Ogni azienda è un sistema, le persone al suo interno mantengono conversazioni e interagiscono per poi scambiare prodotti con altri sistemi esterni, come clienti, alleati, fornitori ecc. I sistemi che non sanno evolvere, muoiono.
Da un punto di vista metodologico, possiamo rappresentare facilmente questa rete di relazioni lavorando sui valori e prestando attenzione alle dinamiche del sistema. Possiamo vedere dove si inceppa il meccanismo, quali movimenti attraggono o allontanano i clienti, cosa succede alle persone quando si impongono strategie, e si possono anche elaborare diversi scenari per prevedere l’impatto che potrebbero avere sul futuro dell’azienda.
Per crescere e prosperare, le aziende come le persone, devono riprendere contatto con le risorse e i talenti che non riescono a vedere o che non sanno come sviluppare. E il primo passo è scegliere intenzionalmente i valori necessari a sostenere il processo di crescita.
Lei ha accennato alle trappole che bloccano i leader e impediscono loro di guidare l’organizzazione verso il successo. A cosa si riferisce esattamente?
Durante l’ultima edizione del US Open di tennis, che ha vinto il tennista spagnolo Rafael Nadal, ho seguito con interesse gli articoli che pubblicava il suo preparatore fisico, suo zio Toni Nadal. In uno di questi articoli rifletteva sui risultati di una sua inchiesta personale: in ogni torneo, i tennisti basano la loro tattica su diversi fattori e la condizione del campo di gioco è uno dei fattori principali, perché determina la velocità del gioco. Nella sua inchiesta, Toni Nadal aveva scoperto che ogni tennista ha una percezione propria delle condizioni del campo, di come ha cambiato rispetto al precedente torneo, e trae conclusioni che determinano il gioco. Ma queste percezioni non hanno relazione alcuna con le reali condizioni del terreno di gioco, che spesso non subisce nessuna alterazione tra un torneo e il seguente. In altre parole, le paure e preconcetti creano convinzioni che influiscono in modo decisivo sulle azioni dei tennisti. Nel mondo dell’impresa è facile cadere in questo genere di “trappole”, la pressione è forte e si devono gestire relazioni personali e professionali a volte complesse. Esplorare i meccanismi con cui concediamo o togliamo la fiducia e riscoprire i propri valori può apportare dati rivelatori per uscire dalla trappola.