Alessandro Masento, l’empatia dal ruolo di manager al coaching

team coaching 21 Marzo 2023 09:31
12 min.

Abbiamo incontrato Alessandro Masento, coach con credenziale PCC di ICF, per conoscerlo meglio e farci raccontare gli aspetti principali di sé e del suo approccio al coaching. Masento è arrivato a questa professione dopo essere stato per oltre venticinque anni manager in grandissime aziende italiane e internazionali.

Alessandro, come risponderesti alla domanda: “Chi sei?”
Domanda potente… credo la più potente di tutte. Tant’è che, nella tradizione Zen, è il primo e probabilmente il principale dei cosiddetti koan, le domande enigmatiche che vengono poste ripetutamente agli allievi per permettere loro di arrivare alla cosiddetta illuminazione. Io non ho la risposta definitiva a questa domanda o, per meglio dire, non ho una risposta diversa da quella che consiste nel raccontare innanzitutto una storia, la mia storia.

Alessandro Masento
Alessandro Masento

E allora dicci della tua storia
A questo punto potrebbe sembrare che non voglia rispondere, ma ovviamente si pone una questione di battute a disposizione. In estrema sintesi, sono stato studente brillante, ricercatore, programmatore per fare gavetta, sistemista, e poi manager. Ho dato il mio contributo a importanti multinazionali come manager e come consulente; ho appreso una quantità enorme di nozioni tecnologiche, principalmente sulle telecomunicazioni, i media e i sistemi informativi; ho gestito progetti che implicavano investimenti di milioni di euro e che coinvolgevano team composti da decine di persone. Sono stato resource manager di una delle più importanti società di consulenza e system integration in Italia e nel mondo, coordinando più di cento persone. Fuori dal lavoro, la mia identificazione principale è quella nel ruolo di padre, e ho avuto e ho innumerevoli passioni quali la musica, l’improvvisazione teatrale, la meditazione, i gatti, gli amici, i viaggi, il cinema e la scrittura.

Dal punto di vista professionale, la tua sembra essere stata una storia di successo… cos’è stato a farti cambiare vita dopo i cinquant’anni?
Direi la fame di rispondere alla domanda che mi hai fatto all’inizio: “Chi sono?”. C’è sempre stato in me un impulso irrefrenabile alla ricerca interiore, di senso, di pienezza. Ricerca che ha via via reso meno attraente la realizzazione di “attività” e “progetti” e ha preteso che il centro della mia professione diventasse l’essere umano, che fossi io stesso, l’altro, gli altri e le relazioni tra individui e gruppi di individui. In questo senso il coaching è stato lo sbocco naturale, il “processo” in cui un sistema composto da me e il mio cliente (o i miei clienti lavorando con i team), vanno alla scoperta l’uno dell’altro e, tramite ciò, di sé stessi. Non intendo in questa intervista dilungarmi su definizioni “tecniche” del coaching, ma quando si parla di “relazione di partnership” proprio questo intendo: supporto il mio cliente nella sua crescita e, così facendo, inevitabilmente cresco anch’io.

Una domanda su Alessandro Masento in quanto coach, però, te la devo fare… quali sono gli aspetti principale che caratterizza la tua interpretazione di questa professione?
Beh, alcuni aspetti più o meno credo di averli già fatti più che intravvedere. Una mia qualità che è contemporaneamente innata e frutto dell’esperienza è sicuramente l’empatia: innata perché l’ho avuta fin dall’infanzia e l’ho anche ritrovata in vari test e profili che ho svolto; frutto dell’esperienza perché gli anni vissuti nei contesti di cui ho parlato ed esperienze personali anche molto dolorose mi permettono di comprendere qualunque problema, esigenza e obiettivo mi venga presentato. Certo, come coach devo essere bravo – e lo sono diventato con la pratica – a prendere le mie risposte e le mie soluzioni e lasciarle “scivolare via” (è qualcosa che faccio proprio tramite una apposita visualizzazione, durante le sessioni), perché il mio compito di coach è guidare il cliente nel trovare le sue risposte e soluzioni, che sono quelle giuste per lei o per lui e non per forza anche per me. L’empatia, vissuta in questo modo, mi permette di essere accogliente e anche sfidante, quando colgo che il cliente “se la racconta”. Un altro aspetto che mi preme sottolineare ora è quello degli strumenti a disposizione, appresi tramite la formazione e le passioni personali. Ad esempio, conosco e pratico il Team coaching, che con l’individuale ha ovviamente molti punti in comune ma anche tante differenze. Propongo, quando l’intuizione mi dice che possono essere utili al mio cliente, tecniche e architetture come le costellazioni sistemiche e il Core Coaching Future®. Conosco, mi documento e applico su me stesso, e da ben prima di incontrare il coaching, l’Enneagramma, che ritengo una mappa straordinaria per comprendere sé stessi. Infine, mi piace citare il senso dell’umorismo come qualcosa di cui sono stato sempre naturalmente dotato e che ho sviluppato grazie alla scrittura satirica e al teatro improvvisato: potrebbe forse sembrare improprio, ma a mio avviso nel coaching permette di introdurre quella leggerezza che, come diceva Calvino, non è superficialità, e che può essere determinante nel superare i momenti più delicati e gli ostacoli apparentemente più insormontabili.

A proposito di strumenti ci spiega meglio del Core Coaching Future® e quali sono le modalità di applicazione?
Il Core Coaching Future® è una vera e propria “architettura” di coaching che è stata ideata dal fondatore della Future Coaching Academy, Wolfgang Stabentheiner, e viene insegnata in Italia da Alessandra Riva in un intenso percorso di formazione riconosciuto da ICF. Si basa su tecniche di conduzione del processo di coaching, su visualizzazioni, domande “a impulso” e altri strumenti che da un lato aiutano il coach a potenziare la propria intuizione, dall’altro lo liberano il più possibile dalla tendenza a proiettare inconsciamente sul cliente o addirittura a guidarlo senza rendersene conto. Soprattutto, di conseguenza, questa architettura permette al coachee di andare ancora più a fondo nella scoperta si sé, facendo anche in una sola sessione passi in avanti che, con un approccio “standard”, necessiterebbero almeno del doppio dell’impegno.

Un’ultima domanda: quale ritieni sia il tuo più grande successo?
Difficile sceglierne uno. Ogni cliente che termina soddisfatto un percorso di coaching – e, senza falsa modestia, non ricordo un caso in cui sia avvenuto il contrario – per me è un successo, che si tratti dell’imprenditore o dell’amministratore delegato che si vede migliorato come manager e leader, o dell’adolescente che riesce in una scelta gravosa e delicata come quella dell’università. Volendo sintetizzare, la cosa di cui sono più orgoglioso è quella di riuscire a dare il mio contributo a far conoscere e apprezzare il coaching, specie nell’area geografica in cui abito, la bergamasca, in cui quando dico che “sono un coach” i miei interlocutori lì per lì pensano a un ciarlatano che propone loro le sette pratiche per vendere di più o le cinque regole per smettere di fumare… poi provano, diventano clienti, capiscono di cosa si tratta e, senza rendersene conto, mi procurano loro stessi nuovi clienti grazie al passaparola che mettono in atto.