L’incontro tripartito in un percorso di coaching

incontro trirpartito 21 Novembre 2022 07:30
12 min.

Le sfide per il coach e gli apprendimenti per l’organizzazione. Tutto quello che forse non vi aspettavate di trovare in un incontro tripartito.

Per i non addetti ai lavori: l’incontro tripartito è l’incontro che (spesso) si effettua all’inizio di un percorso di coaching in una organizzazione tra il coach, il coachee, il responsabile del coachee e talvolta l’HR.

A cosa serve?
A condividere gli obiettivi del percorso di coaching tra il/la coachee e il/la responsabile (per facilitare la lettura di seguito userò la dicitura “il” responsabile e “il” coachee per indicare entrambi i casi – nda). Un’organizzazione può scegliere di attivare un percorso di coaching per svariati motivi: sviluppare il potenziale di una persona, risolvere un problema ricorrente, far crescere determinate competenze, dare seguito a un feedback (360 o altri), ecc. Durante l’incontro vengono definiti e concordati gli obiettivi specifici del percorso tra il coachee e il suo responsabile, proprio partendo dagli input che hanno portato alla scelta di attivare il percorso. Obiettivi e risultati attesi.

Ora probabilmente vi starete immaginando una serena riunione in cui si condividono scopi, traguardi desiderati e si finisce sorridenti e pronti per avviare il percorso.

Facile, no?! Peccato che la realtà sia spesso molto diversa… ecco quello che può succedere

Caso 1: l’incontro non si fa
Come mai? Spesso la causa è la mancanza di tempo del responsabile … consapevoli che “mancanza di tempo” spesso equivale a “non è nelle mie priorità”. Oppure “tanto siamo sempre allineati, non c’è bisogno”. Sono due situazioni diametralmente opposte, ma entrambe nascondono insidie.
A volte il dialogo tra coachee e il suo responsabile è quasi del tutto assente o molto difficoltoso: motivo in più per non mancare questa preziosissima occasione di confronto e dialogo, “mediata” dalla figura del coach, che in questo caso veste i panni del “facilitatore” per fare convergere due mondi, due modi di pensare e sentire spesso molto diversi, verso gli obiettivi chiave del percorso. Un risultato ulteriore dell’incontro è un meta-apprendimento: si può creare e ri-creare un dialogo tra queste due persone; se l’abbiamo fatto una volta, cosa ci impedisce di farlo in futuro?
Anche nel caso opposto – quando il dialogo è frequente e aperto – il rischio è che le reciproche aspettative non siano state messe a confronto da un po’ di  tempo, con un possibile disallineamento: siamo ancora “sulla stessa lunghezza d’onda”? Non stiamo dando “per scontate” cose importanti? In questo caso l’incontro è un ulteriore incentivo per mantenere ed esaltare un dialogo “già in corso” o per fare emergere potenziali disallineamenti. Il meta-apprendimento è: non diamo “per scontate” troppe cose, dialogo e fiducia necessitano di costante manutenzione.

 

Caso 2: l’incontro si fa ma qualcuno al tavolo è assente
L’assenza va intesa in senso mentale come quando il responsabile è distratto, lo sguardo corre spesso alla parete (o ad un’altra parte dello schermo se l’incontro è on-line) o allo smartphone o al tablet. Le frasi sono brevi, lo scorrere del tempo è monitorato con attenzione. Che cosa si cela dietro tutto questo? Pensieri del tipo: “Guarda cosa mi tocca fare, avrei altri urgenze” oppure “Non è ovvio capire che cosa vorrei che facesse il mio collaboratore? È così scontato…
In altri casi c’è una palese difficoltà nell’esplicitare l’obiettivo da raggiungere… Paura di segnalare in modo chiaro le aree di miglioramento? Paura di non saper gestire l’emotività di uno sguardo diretto del coachee?
Altre volte è il coachee che sfugge gli sguardi, si racchiude sulla sedia, sorride forzatamente. Anche qui i pensieri e le emozioni sottostanti possono essere diversi: può essere il non volersi trovare in quella situazione, “Mi hanno mandato a fare coaching perché non lavoro bene”, come una sorta di corso di recupero o di ultima spiaggia, può essere che ancora non si sia “digerito” quanto emerso dal feedback ricevuto (per cui le energie sono tutte concentrate nel cercare di gestire le emozioni che sono emerse dalla lettura di alcuni commenti o punteggi…), può essere la difficoltà a relazionarsi con il responsabile…

Come coach sappiamo che la lettura del pensiero non funziona, non possiamo “diagnosticare” che cosa stia passando nella testa e nel cuore delle persone coinvolte, ma siamo consapevoli che questo fa parte del processo, anche se può risultare faticoso. Sono molte le competenze del coaching da mettere in pista in questi casi: la creazione di una relazione “sicura” per entrambe le parti, l’ascolto attivo (non solo delle parole!), la costruzione del “patto di coaching” andando a definire gli obiettivi, la chiarezza nella comunicazione, ecc. Meta-apprendimento per i partecipanti: siamo in grado di costruire anche in condizioni difficili, attivando l’ascolto, sospendendo il giudizio, esplicitando in modo chiaro le reciproche aspettative.

 

Caso 3: l’incontro si fa, tutti convinti, partecipi, attivi
Sì, ci sono anche questi casi. Per aumentare le probabilità di questo terzo caso è molto importante raccontare e definire con chiarezza all’organizzazione tutte le fasi del processo di coaching, che non si riduce solamente alle sessioni di coaching e, infatti, non a caso si parla di processo.

L’incontro tripartito non è solo quello iniziale, sovente c’è un incontro tripartito finale e talvolta anche un incontro “intermedio”.  Sono preziose occasioni per monitorare i risultati, riguardare gli obiettivi, dare feedback, capitalizzare gli apprendimenti. In questi incontri protagonista è il coachee, che si assume la responsabilità nel dare evidenza del percorso intrapreso (il coach è tenuto alla massima riservatezza, come ben esplicitato nel codice etico).

Che cosa si impara in un incocntro tripartito seguendo tutte le regole?

  • L’importanza di definire con chiarezza obiettivi e indicatori
    “Che cosa mi farà dire alla fine del percorso che l’obiettivo è stato raggiunto? In quale misura?” Già questo potrebbe essere un utile apprendimento in molte aziende, non solo per il coachee…
  • Tradurre in comportamenti concreti gli obiettivi
    “Quali comportamenti mi faranno dire che…” Quali comportamenti mi faranno dire che sei migliorato nella capacità di dare feedback? Di gestire il conflitto nel team? Di favorire creatività ed innovazione? Questo è un utilissimo esercizio per esplicitare e comunicare le aspettative (probabilmente ciascuno di noi attribuisce un significato diverso alle parole “gestione del conflitto”, “innovazione”, ecc). Capita che in questi momenti coachee e responsabile si rendano conto di attribuire significati molto diversi alle parole…
  • Responsabilizzazione delle parti
    Ciascuno ha un suo ruolo nel processo di coaching – il coachee e il coach in primis – ma anche il responsabile e il resto dell’organizzazione. Nessuno può delegare questa parte di responsabilità.
  • Feedback, feedback, feedback
    In particolare negli incontri intermedi e finale il feedbak del responsabile è importantissimo per facilitare apprendimenti e cambiamenti del coachee e dare un chiaro segnale che l’organizzazione gli è accanto in questo processo di crescita!
  • Approccio sistemico
    Il processo di coaching riguarda tutta l’organizzazione, non solo il coachee. Quando cambia un elemento in un sistema, quando cambiano le relazioni in un sistema, tutto il sistema cambia. L’organizzazione, che ha auspicato tale cambiamento, deve essere pronta ad accettarlo e sostenerlo, ad evolvere assieme al coachee.

Agnese Pelliconi