Imparare dall’errore e non subire il fallimento

29 Maggio 2020 07:21
6 min.

Un coach si trova spesso in presenza di queste due tematiche nella sfera personale o professionale del cliente: il tema dell’errore e del fallimento.

Il coaching ontologico considera il linguaggio come creatore di realtà, realtà vissute prima come conversazioni interne, poi come possibili generatrici di azioni. Questi due tipi di conversazione hanno un ruolo centrale nella formazione e nel perseguimento di un obiettivo.

Facendo un passo indietro all’inizio del percorso di apprendimento, all’inizio dello sviluppo del processo di formazione, guardiamo ai bambini.

Questa distinzione errore / fallimento non è percepita né contemplata perché il bambino (almeno sino ai 7 anni) non ha parte critica/censoria. Che vuol dire? Vuol dire che non si auto-limita, non si auto-condiziona sulla base di voci critiche interne.

Il bambino sperimenta più e più volte ciò che lo stimola sino a quando diventa capace di fare una data cosa. Pensiamo all’andare in bicicletta, o ancor prima a camminare. Nessun genitore tende a criticare o censurare una caduta di troppo, anzi, si sollecita il bambino nella sua corsa verso la riuscita. Si è soliti dire “lasciamoli sbagliare”.

Così dovrebbe essere anche nei nostri confronti. Ricordarsi come abbiamo imparato a fare le cose che oggi riteniamo elementari e, con lo spirito di quel bambino, non vivere lo sbaglio o l’errore che dir si voglia come un fallimento.

Nel protocollo di coaching ontologico ma non solo, l’errore è un’opportunità di crescita non la fine di tutto.

L’errore mi consente di uscire dalla zona di comfort ed espandere le mie competenze. Ricordiamoci che la zona di comfort è quella dove ci sentiamo più a nostro agio, dove non ci è richiesto nulla di nuovo, ma dove quindi non possiamo migliorarci e crescere.

Il fallimento viceversa è la fine. Nell’immaginario collettivo (che si allaccia all’inconscio collettivo junghiano) l’idea del fallimento così come l’utilizzo della parola stessa, sono legati alla fine di qualcosa. Se fallisco dunque, non posso rimediare, non posso fare più nulla.
Il giudizio negativo legato al fallire, allo sbagliare non ha solo una radice personale ma bensì risiede nelle dinamiche sociali, che hanno su di noi un forte impatto conscio/incoscio.

Pensate a quanti progetti mancati perché guidati da conversazioni limitanti che partono dalla paura di fallire, dall’idea che se non ce la faccio non potrò più fare nulla, mi sentirò e sarò visto come un fallito.

Chi ce l’ha fatta? Le persone che hanno vinto queste sfide personali, non senza paura perché la paura non se ne va, ma non guida le azioni di chi sta perseguendo un obiettivo.
I grandi esploratori, i grandi inventori, gli imprenditori che hanno creato dal nulla non erano privi di paure, ma hanno saputo affrontarle. Non sapevano all’inizio come fare ma hanno imparato durante il percorso dai propri tentativi, non si sono fatti trascinare giù dall’idea del fallimento.

La storia di Edison che si dice abbia detto grazie ai suoi mille tentativi sbagliati di costruire una lampadina, ci fa capire quanto l’errore serva! Senza quei mille tentativi Edison non avrebbe potuto scoprire il materiale giusto per la sua invenzione.

La conversazione utile per far crescere ed alimentare i nostri obiettivi parte anche da una nuova visione dei proprio errori. Che sono la base dei nostri successi.