L’insegnamento e il coaching sono le due attività centrali della vita professionale di Valeria Iannazzo che, in questa intervista ,ci parla delle differenze e dei punti di contatto tra questi due mondi che hanno in comune la crescita dell’individuo. Nel caso del coaching, scoprirete nelle sue parole, è la scoperta del proprio talento a fare la differenza. Buona lettura.
Ci racconti come, dall’insegnamento, sia approdata al mondo del coaching.
Provengo da un’esperienza quasi ventennale come docente. Vivere in questo “Universo scolastico” così complesso, in cui gravitano studenti, docenti e genitori, il cui scopo principale è favorire la crescita della conoscenza (nel senso più ampio del termine) e far emergere talenti, per me è stato rivelatorio, ha aperto una breccia! Mi ha permesso di capire, che due aspetti della sfera umana mi appassionavano per la loro potenza intrinseca: l’impatto che le emozioni hanno sul comportamento e il valore di ogni essere umano. Da qui, l’inizio di un nuovo viaggio e l’approdo al mondo del coaching. Quest’ultimo, per me, rappresenta la forma più autentica di esserci per gli altri e di fare la differenza. Ed è proprio in questo “spazio sicuro”, quale è la sessione di coaching, che le emozioni e il valore di ogni essere umano emergono nella loro forma più autentica, perché al cliente è permesso di ascoltare, riconoscere, comprendere e “far agire” le proprie emozioni, dandogli spazio e permettendo di far emergere l’unicità di ognuno.
Secondo lei, ci sono dei punti di contatto tra il mondo dell’insegnamento e quello del coaching?
Sì, sicuramente. Parliamo di due mondi diversi ma con molti punti di contatto e convergenza. In entrambi i settori, il focus è sull’individuo, ma le dinamiche e le metodologie applicate sono diverse. Credo che entrambi gravitino intorno al concetto di educere, da cui deriva anche la parola educare, che letteralmente significa “trarre fuori” in potenziale di ogni persona. Questo concetto del trarre fuori evoca anche quello socratico e il suo approccio maieutico, che nel coaching si traduce nel porre domande potenti e aperte e nell’ascolto attivo, volte a stimolare il cliente a riflessioni profonde e ad azioni consapevoli.
So che la dimensione del viaggio ha una valenza importante per lei, cosa può dirmi?
Sì, è vero: ho viaggiato e vivo all’estero. Il viaggio ha un significato profondo per me, riconducibile a due dimensioni: quella introspettiva, legata alla scoperta di sé e quella esteriore, fatta di incontri e connessioni con il mondo circostante. È una dimensione che presuppone un atteggiamento di apertura e curiosità, oltre che di accoglienza rispetto a ciò che si incontra. Sottolineo il termine curiosità, perché è un “ingrediente” importante nella vita, ti rende presente e ti connette con ciò che accade intorno e dentro di te.
Il viaggio è una metafora che, dal mio punto di vista, si applica perfettamente al coaching, perché anche il percorso di coaching, permette di raggiungere nuove mete, arricchendoti lungo questo viaggio di trasformazione interiore, connettendoti a te stessa e al mondo. È un percorso che ti pone di fronte a molte sfide, ti invita a metterti in discussione e ti aiuta a comprendere chi sei.
Spesso parla di esserci per gli altri e fare la differenza. Cosa intende?
Sono affascinata dal concetto di “differenziale di sviluppo” dello psicologo e padagogista Lev Semënovič Vygotskij, che affonda le sue radici nella “Metafisica” di Aristotele. A cosa mi riferisco? Questo concetto descrive la differenza tra ciò che una persona può fare autonomamente e ciò che può realizzare con il supporto di un’altra persona, un “Altro” che funge da facilitatore.
Lui sviluppa ed amplia il concetto che Aristotele ci offre con un’immagine suggestiva “del seme che in potenza è un fiore e il fiore che in potenza è un frutto”. Applicando questa idea al coaching, il Coach svolge il ruolo di facilitatore, creando lo spazio e le condizioni affinché il cliente possa esprimere appieno ciò che è in potenza e trasformarlo in atto.
Cosa sente di offrire nelle sue sessioni di coaching?
Dalla mia esperienza di Coach, i miei clienti mi riconoscono di offrire un frame che impreziosisce e rende più potente la sessione. È un po’ quel quid in più che crea naturalmente empatia, supporto e accoglienza, che nasce un po’ dal mio percorso professionale nel campo della formazione e dalla mia esperienza con culture diverse.
Qual è il beneficio più grande, nella sua esperienza, che i clienti ottengono lungo il percorso di coaching con lei?
Direi, in sintesi, la scoperta del proprio Talento!
Spesso i clienti si approcciano al percorso di coaching con l’obiettivo di ridefinire la loro carriera, cambiare professione o spendere meglio sul mercato le loro competenze. Questo li spinge ad intraprendere un percorso volto a capire la loro unicità e i propri punti di forza, per offrire la massima espressione di sé stessi, in campo professionale.
È un po’ capire cosa di grande ognuno ha in sé e come esprimerlo nella professione che esercita.