Al coachee potrebbe capitare di trovarsi in uno spazio ambiguo in cui né si concede il relax né si rimette in marcia, la cosiddetta comfort zone.
Dopo grandi fatiche eccolo nel suo pit stop, che si prolunga oltre il necessario. Vorrebbe un tira-e-molla cosmico per lanciarsi al di là di questa comfort zone di cui ha tanto sentito parlare (e che ritiene essere il Regno del Male) e si sente in colpa.
Maledetta comfort zone! Quella zona in cui una persona si sente a suo agio, dove tutto è conosciuto e familiare, dove l’ansia non è un pericolo incombente.
Ecco un’area del coaching contro-intuitiva poiché molto spesso ci occupiamo della comfort zone a canone inverso, supportando le persone a uscirne. Al contrario in questo articolo si intende considerare l’eventualità di restarci.
Un tipo di indagine che può essere illuminato con alcune domande. Che impatto hanno sul coachee il piacere, il premio, la gratificazione? Cosa gli resta dei momenti di benessere? Cosa apprende quando è lieto, rilassato, saturo?
Persino Ulisse, l’eroe più ‘evoluto’ delle fiction di Omero, capace di vincere mostri orrendi con astuzia e strategie, si fa distrarre dai piaceri e compie numerose soste. Interessante l’episodio con la vamp Circe che prima irretisce Ulisse, poi lo aiuta dando preziosi consigli. Il principio femminile ha una natura ambivalente che attrae ma spaventa. È misterioso perché ha il potere generativo e trasformativo, produce illusioni, crea una realtà alternativa. La maga dispettosa è un classico personaggio Mutaforma: prima è negativo, poi assume la funzione di aiutante del protagonista.
Secondo una lettura basata sugli archetipi Ulisse nel suo nostos verso Itaca ha potuto assimilare gli aspetti femminili della sua psiche, incontrando e amando molte donne, ognuna con caratteristiche diverse, e dunque con qualità speciali del feminino (Nausicaa, Calipso, Circe e la ‘titolare’ Penelope).
Torniamo a Circe e agli incantesimi di cui è capace: punisce i compagni di viaggio di Ulisse trasformandoli in bestie. Poi li trasmuta nuovamente in forma umana (in realtà hanno la sorte segnata sin dai primi versi, secondo un format poi copiato anche nelle serie tv dell’ispettore Colombo dove il colpevole lo vedi alla prima scena!).
Questi personaggi secondari potrebbero rappresentare in una lettura archetipica alcune caratteristiche minori della personalità di Odisseo, sacrificate in vista di una pienezza ulteriore. Sono difatti frammenti disfunzionali e non integrabili della psiche dell’eroe. I compagni del condottiero hanno tratti di infantilismo, infrangono più di una regola, si comportano in modo sconsiderato senza domandarsi le conseguenze dei propri atti. Sono animati da un approccio edonico. Nel poema sono definiti sacrileghi, periranno tutti anche se in momenti diversi e gli ultimi per aver commesso uno scelus mangiando i buoi del Sole Iperione (il vocabolo latino traduce il misfatto compiuto contro la divinità, un reato aberrante).
Ma non saltiamo alla fine della storia.
Il nostro eroe dopo aver salpato dal Circeo, andando incontro alle Sirene, unico a poterle udire, è tra i pochi umani a scendere nell’Ade. La svolta nella trama: la catabasis. Una morte simbolica, grazie alla quale Ulisse, polytropos, dalle mille caratteristiche, diventa più saggio e consapevole. In realtà incontra il proprio passato e il proprio futuro. Che immagine potente: giù all’inferno dove ogni cosa è tremenda, lì si scopre il senso della vita. Ulisse da solo tornerà a riconquistare il suo ruolo nella Comunità. Re di Itaca.
“L’uomo ricco d’astuzie […] che a lungo errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia; di molti uomini le città vide e conobbe la mente, molti dolori patì in cuore sul mare, lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi”.
Questo eroe è tanto più universale quanto è più umano, fragile, autentico nei suoi alti e bassi. Rappresenta, in cammino verso il trovarsi, tutti noi che ogni tanto abbiamo bisogno di riposare. Pensando al coachee ed alla sua stagnazione nella zona di comfort – fermo ma non rilassato, quindi ufficialmente bloccato – l’Odissea a lui narra dell’importanza di godere della buona sosta, dopo la tempesta e prima delle future insidie di altre onde. In giro si parla tanto di questa profonda avversione alla comfort zone, demonizzandola senza quartiere e senza considerare che serve a salpare verso il mare aperto, ma è anche il punto di approdo per ristorare corpo e anima.
La comfort zone rappresenta l’acquisizione dall’esperienza. Un patrimonio prezioso di automatismi e di risorse che saranno sempre nostre, non le perderemo più. Sono momenti di conoscenza del Sé, anche quelli in cui stiamo fermi e apparentemente disimpegnati.
Lasciamo il coachee a beneficiare di queste intuizioni e salutiamo Ulisse, considerando la fine dell’Odissea dal nostro punto di vista e in coerenza con questa interpretazione.
L’ultima sequenza del poema omerico è solo apparentemente un happy end, al contrario è la rappresentazione di un’attualistica comfort zone esistenziale, poiché Tiresia nell’Ade ha predetto a Ulisse che il suo ultimo viaggio per mare sarebbe stato anche quello fatale.
Mentre scorrono i titoli di coda, la comunità si stringe attorno al re, adesso è il tempo di festeggiare.
Letture consigliate:
Marie-Luise von Franz, “Le fiabe interpretate”, Bollati Boringhieri, 1980, 22 €.
Jolande Jacobi, “La psicologia di C.G. Jung“, Bollati Boringhieri, 2014, 14 €.