Team coaching, linguaggio, cambiamento: nel parliamo con Agnese Pelliconi

17 Ottobre 2019 08:58
11 min.

La coach di questa settimana è Agnese Pelliconi con la quale abbiamo parlato di team coaching, di Programmazione Neuro Linguistica e del ruolo del coaching nelle sfide che le aziende devono affrontare di questi tempi e nell’immediato futuro.

Per la sua presentazione come coach sulla piattaforma Doyoucoach ha scelto di iniziare con una frase rivoluzionaria per le persone: “Se vuoi avere ciò che non hai mai avuto, devi fare ciò che non hai mai fatto”. Non un atteggiamento semplice da attivare: è questo il compito principale di una coach? E con quale percorso avviene?

Ho scelto questa frase perché, per me, è stata di grande impatto…e lo è ancora!
Quante volte facciamo e rifacciamo le stesse cose, sia nella vita privata che in azienda, lamentandoci poi del risultato che non ci soddisfa? Il compito del coach è proprio in questa direzione, o meglio, va alla ricerca di quel cambiamento di pensiero che permette poi di attivare concretamente nuove azioni. Infatti spesso non è sufficiente cambiare azione (la classica frase “le ho provate tutte!”), occorre cambiare il proprio punto di vista, mettersi un paio di occhiali diversi per osservare la realtà: solo in questo modo vedremo azioni che prima erano fuori dalla nostra visuale. Il percorso attraverso cui il coach accompagna il coachee si basa sull’ascolto e sulle domande, che hanno proprio l’obiettivo di trovare il nuovo paradigma di pensiero che consentirà al coachee di intraprendere un nuovo percorso.

La sua professione l’ha portata a lavorare in aziende di piccole e grandi dimensione. Nel Team Coaching quali sono le differenze che riscontra tra le due entità oltre evidentemente i numeri?

Ogni team ha una sua propria identità e un suo modo di operare: anche all’interno delle stessa azienda si possono rilevare grandi differenze nel modo di lavorare delle persone di team diversi.
A livello macro, per la mia esperienza personale, posso dire che nelle aziende di dimensioni più piccole è più frequente vedere rapidamente i risultati delle nuove azioni che si mettono in pista: ci sono meno livelli gerarchici, spesso nei team sono presenti le persone che possono attuare o fare attuare da subito quanto definito nel team, il feed back sui risultati ottenuti è più immediato. Questo può accadere anche in aziende di grandi dimensioni, bisogna però strutturare adeguatamente il team e il processo decisionale.
Un altro elemento di differenziazione è dato dai rapporti all’interno dei team di direzione: nelle aziende di piccole dimensioni è più facile che ci siano rapporti di parentela tra i membri del board direttivo, elemento da non trascurare perché può avere un forte impatto a livello di gestione delle relazioni nel team e a livello di approcci contrastanti nella gestione del cambiamento.

In che modo la sua specializzazione in Programmazione Neuro Linguistica (PNL) si incrocia con la sua attività di coaching, sia nel privato che nel business?

Come metodologia di coaching utilizzo il metodo ontologico-trasformazionale, che è stato alla base del mio percorso per diventare coach. “Ontologico” perché riguarda l’essere (la persona) e “trasformazionale” in riferimento al cambiamento che avviene durante il percorso di coaching. Strumento principe è il linguaggio, che “crea la realtà e modella il futuro” e le distinzioni linguistiche, che permettono di attivare quelle nuove interpretazioni della realtà che aprono nuovi spazi di azione.
Per ampliare la “cassetta degli strumenti” da mettere a disposizione dei miei coachee, ho conseguito la specializzazione in PNL, che mi ha permesso di potenziare le mie capacità di comunicazione e acquisire nuove tecniche da applicare nel coaching. Le prime mi sono utili in ambito aziendale soprattutto nelle vesti di docente e formatore, mentre le altre tecniche le utilizzo maggiormente nelle sessioni di coaching individuali.

Business coaching e consulenza: quali i confini?

Semplificando al massimo si può dire che il consulente propone soluzioni all’azienda, mentre il coach supporta le persone in azienda nel raggiungere gli obiettivi (tramite le domande, senza dare consigli). Nel business coaching queste due anime interagiscono e si completano. Da una parte c’è quindi un’attività volta a individuare le aree di miglioramento dell’azienda e ad operare su queste, dall’altra l’attività tipica del coaching per il raggiungimento degli obiettivi, lo sviluppo del potenziale, l’apprendimento.
I confini sono spesso sottili ed è compito del business coach trasmettere al cliente la differenza tra i due ambiti, sia a livello contrattuale, che comunicando con chiarezza di volta in volta quando si agisce come coach e quando come consulente. Tra l’altro nell’esplorazione delle aree di miglioramento, possono emergere ambiti in cui il business coach non è esperto (consulente), in questo caso il suo compito come coach è supportare il cliente nell’individuare ed utilizzare altre risorse che possono affiancarlo, nel rispetto degli standard etici del coaching e della deontologia professionale.
Faccio un esempio concreto: la mia specializzazione è nell’ambito dell’organizzazione aziendale e del miglioramento di processi; se il mio cliente individua una criticità in ambito finanziario, il mio compito come coach sarà quello di affiancare il cliente nel definire un piano d’azione in questo ambito, senza entrare nel merito. Viceversa, se emerge una criticità in ambito organizzativo, posso utilizzare sia gli strumenti del coaching, che quelli della mia esperienza da consulente, sempre mantenendo ben distinte al cliente le due modalità d’intervento.

Il coaching è una moda? Perché adesso si parla molto di coaching, anche in azienda?

La parola coaching sta entrando prepotentemente nel linguaggio comune (talvolta perfino con qualche banalizzazione) e anche nell’ambito delle organizzazioni cresce la consapevolezza delle potenzialità di questo strumento.
Per descrivere lo scenario attuale a livello mondiale si usa l’acronimo V.U.C.A (Volatility, Uncertainty, Complexity and Ambiguity): pensiamo agli effetti all’evoluzione tecnologica (Industry 4.0), alle nuove potenze economiche emergenti che modificheranno drasticamente il futuro mondo del lavoro, al tasso di cambiamento mai visto prima.
Tutto questo può generare paura, disorientamento, sfiducia, percezione di non avere risorse a sufficienza per gestire questa complessità. Il rischio è la “non-azione”: la paralisi.
Il coaching, in tutte le sue declinazioni – executive, team, business coaching – si presta ad essere un preziosissimo strumento per ampliare la visione ed integrare diversi punti di vista (di generazioni e culture radicalmente diverse tra loro), per visualizzare obiettivi futuri che non siano la mera proiezione di quanto fatto nel passato, per innestare un circolo virtuoso di azioni e feed back, per attivare uno stile di apprendimento continuo, per gestire il cambiamento, o meglio per fare del cambiamento un punto di forza, sia a livello personale che a livello di organizzazioni e aziende.