Roberta Sala, una storia da manager a imprenditrice a coach

22 Maggio 2020 07:30
13 min.

È stato immediata e semplice la nostra conversazione perché Roberta Sala ha adottato un percorso di ampia apertura personale, come leggerete, che ci ha consentito di conoscere una storia ricca di spunti interessanti e suggerimenti sul coaching.

Robereta Sala

Buongiorno Roberta, dopo quasi vent’anni di lavoro manageriale nel credito, ora sei Coach professionista. Come ti sei avvicinata a questa professione?
Il mio primo avvicinamento al coaching è avvenuto in occasione della promozione a dirigente nel Private Banking dove lavoravo. In modo molto lungimirante, i miei responsabili mi avevano proposto un percorso di coaching per aiutarmi nella transizione derivante dal cambio di ruolo. Mi è stata data l’opportunità di avere una persona al mio fianco, che mi supportasse e mi affiancasse in quel momento crescita professionale.

Una fase di transizione e rinnovamento dunque, in cui un Coach può aiutare a cogliere le opportunità derivanti da un cambiamento esterno.
Esatto. A proposito di cambiamenti esterni, uno veramente dirompente per me è stata la maternità. In quel momento mi sono resa conto che fosse per me giunto il momento di un vero cambio di passo. Arrivata a 40 anni e con uno stravolgimento delle priorità che solo la nascita di un figlio può dare, si è fatta forte in me la consapevolezza che ci fosse una strada che non avevo ancora provato e che mi attirava da sempre: lavorare con e per le persone. Interesse per me da sempre vivo, testimoniato dagli studi sociologici che ho portato avanti in gioventù, dai tanti anni di volontariato e anche dall’enorme passione per i viaggi, intesi come immersione in culture diverse.
Ma torniamo al coaching. Ho approfittato della pausa di maternità per dedicarmi a un anno di corso certificato ICF. A quel punto la scelta era fatta. Come in ogni fase di transizione, avevo un elastico che mi tendeva verso il passato e uno che mi portava verso il futuro. Ho preso tutto il mio coraggio e ho tagliato quel legame che non mi permetteva di spiccare il volo verso una scelta che, forse ancora inconsapevolmente, avevo già fatto. Ed ora eccomi qua, Associate Certified Coach di International Coach Federation.

Cosa significa, dal tuo punto di vista, affidarsi a un coach professionista?
Affidarsi a un coach significa prendere atto che la vita sia fatta di cambiamenti, di una realtà che ci viene data e che, per sua natura, è in continuo mutamento. Noi possiamo adattarci a questo movimento o resistergli. È una nostra scelta e, dunque, una nostra responsabilità. Questo è un concetto importante. Nel momento in cui noi siamo consapevoli che tutto, o quasi, della nostra vita dipende da come noi interpretiamo e reagiamo a quello che ci accade, ci assumiamo la responsabilità della nostra vita. E, in questo modo, possiamo cambiarla.
Intendiamoci, diventa una responsabilità ingombrante. È molto più semplice scaricare sugli altri colpe e meriti di ciò che ci accade, ma è solo assumendo il controllo della nostra vita che possiamo guidarla nella direzione che desideriamo.

Cosa può fare un Coach per il suo cliente?
Allacciandomi a quanto dicevamo poco fa, il più grande regalo che il coach possa fare ai suoi clienti è di lasciar loro questa responsabilità. Come ogni coach che crede realmente nel proprio lavoro, sono convinta che ogni persona abbia in sé tutte le risorse che le servono per affrontare il proprio percorso. Attraverso le competenze di ascolto, formulazione delle domande, feedback, il coach agevola una nuova consapevolezza nel cliente, che avrà la possibilità di trovare, a suo modo e col suo passo, la soluzione ai propri quesiti. Fare coaching non significa fare consulenza o dare risposte facili e preconfezionate. Significa preparare con il cliente un terreno che consenta il germogliare delle soluzioni più giuste per quel cliente, in quel momento e in quella data situazione. E solo il cliente stesso sa cosa è meglio per lui. In questo senso avrà la responsabilità del proprio percorso e tutti i meriti dell’avvenuto successo

E se invece di un successo ci fosse un fallimento?
Nessun successo può avvenire senza una buona dose di fallimenti. L’unico modo per non fallire mai è non agire.

Il vecchio detto “chi non fa non sbaglia”.
Spesso la saggezza popolare ci aiuta. Chi ha coraggio osa, chi osa ed esce dai sentieri tracciati, sa per certo che gli accadrà di fallire. Se non usciamo mai dalla nostra zona di confort e continuiamo a ripetere le stesse azioni, probabilmente saremo al riparo dai grossi fallimenti … nel breve periodo.

Ma siamo sicuri che il mondo là fuori non stia cambiando senza che ce ne accorgiamo? Come saremo preparati a questo cambiamento se rimaniamo nell’immobilismo?
Il momento in cui abbiamo la maggior possibilità di imparare è dai nostri fallimenti. Non è retorica, sono convinta che sia realtà. Quando falliamo impariamo di più su quello che ci circonda, impariamo a livello tecnico, impariamo a livello relazionale, soprattutto impariamo qualcosa su noi stessi. Anche in questo caso, l’insegnamento ci giunge solo se attivamente lo ricerchiamo, se riflettiamo su quanto occorso e su quello che avremmo potuto fare diversamente. Se invece cogliamo il fallimento come un’ottima occasione per dirci quanto siamo pessimi, quanto il mondo là fuori sia cattivo e crogiolarci nei nostri dolori, beh, diventa più difficile trarne qualcosa di buono.
Anche in questo caso un coach può essere utile per aiutarci ad esplorare terreni nuovi, per esercitare il famoso pensiero laterale, per stimolarci con brainstorming o con quelle domande scomode che tanto mi diverto a fare. Quelle che lasciano il cliente senza una risposta immediata, quelle che fanno pensare.

Ottimo argomento per imprenditori e professionisti, che cavalcando il cambiamento possono essere artefici del proprio successo professionale
Qui emerge la mia seconda vita. Sono figlia di piccoli imprenditori e sono stata io stessa coinvolta per molti anni nella gestione dell’azienda di famiglia, del settore metalmeccanico, quando mio padre è prematuramente scomparso, lasciando mia madre sola con due figlie all’università. Posso perfettamente comprendere cosa significa avere la responsabilità di un’azienda che dà da mangiare alla propria famiglia e a quelle dei dipendenti. Ricordo come se fosse ora il timore di non farcela, il coraggio di mia madre, il subbuglio generato dal passaggio dell’azienda a noi eredi, la voglia di dimostrare a noi stesse e al mondo che ce l’avremmo fatta. E ricordo perfettamente anche la bottiglia stappata quell’anno in cui il fatturato è stato il migliore di tutti i tempi. Tre donne in fonderia. Potrebbero farci una sit-com.

Siamo in chiusura, quali consigli dare a una persona che vorrebbe scegliere un coach?
Innanzitutto consiglierei di esaminare con cura la formazione e l’esperienza che il coach ha acquisito, comprendendo quali titoli e accreditamenti può vantare. Mi informerei per sapere a quale codice etico si rifà, se fa parte di qualche associazione. Sicuramente chiederei una sessione iniziale gratuita in cui parlare direttamente con lei, o lui.
Condizione essenziale affinché il percorso di coaching sia proficuo, oltre ovviamente alle competenze del Coach, è il clima che si istaura tra coach e cliente. Se durante i colloqui conoscitivi hai la sensazione che il clima sia caldo, di accettazione senza giudizio, che la relazione si sviluppi in senso paritario, che ci sia chiarezza e trasparenza negli accordi, che non ci siano percorsi e risposte preconfezionate, che le sue domande ti inducano a riflettere e che gran parte della conversazione la stia facendo tu… forse hai trovato la persona giusta.