La solitudine dei leader

7 Febbraio 2020 11:36
7 min.

La leadership è azione, non posizione (DH McGannon)

Tra i fattori che condizionano le performance dei leader e il loro benessere psicofisico, oggi vorrei approfondire il tema della solitudine.

La condizione del manager

Il manager, che sia un imprenditore o un dirigente aziendale, è quotidianamente al centro di richieste e aspettative, da parte della linea gerarchica, dei collaboratori, dei peer. È chiamato a decisioni repentine, basate a volte su dati insufficienti e spesso con carattere di urgenza. Sotteso a decisioni e richieste è il senso di responsabilità, che accompagna ogni azione: verso l’azienda, verso i clienti, verso i dipendenti. A questo aggiungiamo un carico di lavoro importante (9, 10, 12 ore di lavoro al giorno?), affiancato dalla necessità di bilanciare il tempo dedicato alla vita famigliare, che lascia ben poco spazio allo svago.
Il risultato: in Italia ben 500.000 manager dichiarano di sentirsi soli (fonte La Repubblica).
E stanchi, aggiungo io. Si tratta circa di un terzo dei manager italiani, compresi quadri e dirigenti, ma chiaramente è un fenomeno che cresce al crescere del ruolo. E francamente, per esperienza, mi sembra un dato  sottostimato.

Le sfide del manager

Il manager, sia di nuova nomina sia di grande esperienza, per diversi motivi trova difficile confrontarsi in azienda con superiori, pari o collaboratori. Chi è giovane teme di essere considerato fuori ruolo, chi ha più esperienza teme di scalfire la propria autorevolezza, acquisita in anni di lavoro. In entrambi i casi il timore è duplice: da un lato che il proprio ruolo aziendale venga esautorato e, dall’altro, che la propria figura professionale risenta di critiche.

A volte c’è il timore di perdere quell’aura di infallibilità che si è cercato di costruire negli anni. Si teme il giudizio degli altri, il consiglio non richiesto. Perché a volte si vorrebbe anche solo “pensare a voce alta” per mettere ordine ai pensieri, senza necessariamente avere un contraltare.
Altre volte è un tema di competitività interna. Anche negli ambienti più collaborativi si teme di dare armi a colleghi che possano usurpare il ruolo.

C’è spesso un tema relazionale puro: in alcuni ambienti le relazioni a livello apicale sono anche amichevoli, ma non certo connotate da empatia e collaborazione.

Infine, a volte è proprio impossibile mettere a parte dei propri dubbi persone dell’azienda o del settore, per la riservatezza che alcune posizioni comportano verso i colleghi, i competitors, il mercato, o proprio per questioni di privacy, se parliamo di dipendenti o clienti.
Conseguenza di ciò è che il manager si trova solo di fronte alle proprie responsabilità.

Il manager e il coach

Il manager più illuminato è quello che si rende conto da solo e rapidamente dei propri momenti di isolamento e trova il modo per compensare questa mancanza.
Spesso, in questi momenti, il manager non ha bisogno di un Consulente. Il manager ha già in sé le competenze per agire e sa già cosa è meglio per sé e la propria azienda. Qui entra in gioco la figura del Business o Corporate Coach.

Un coach è un professionista, appositamente formato, che può affiancare il manager costantemente o in determinati periodi. È una persona disinteressata e neutra, al di fuori dell’ambiente professionale del manager, senza relazioni con l’azienda. Sicuramente non mette in discussione il suo ruolo, perché è profondamente consapevole di quanto l’esigenza di avere un coach sia caratteristica di un leader.
Un Coach segue un codice etico che assicura riservatezza e professionalità assolute.
Le principali competenze di un Coach  riguardano la capacità di ascolto, l’assenza di giudizio, la capacità, attraverso domande, di aprire il manager a nuove prospettive e nuove consapevolezze. Tutte caratteristiche importanti per essere lo sparring partner ideale di un vero leader.
Roberta Sala