Coaching on line e coaching in presenza: specificità a confronto

coaching 8 Giugno 2019 07:31
10 min.

È una evidenza diffusa che il coaching negli ultimi anni abbia visto crescere i suoi ambiti di applicazione nelle aziende. Il motivo è che costituisce uno degli strumenti più efficaci nell’esaltare le potenzialità di singoli e di gruppi, convogliandole verso il raggiungimento di obiettivi di performance sempre più sfidanti.

La correlazione diretta tra coaching e risultati è stata rafforzata ulteriormente da quando venne esteso alle figure commerciali delle reti di vendita (dalle performance misurabili “per definizione”) dopo essere stato, per molto tempo, quasi esclusivamente rivolto al senior management.

La dispersione territoriale di queste figure ha spesso comportato il ricorso a modalità innovative di fruizione del coaching, prevedendo formule a distanza, gestite in call o video-conferenza. Affermatosi quindi più per necessità, il “mercato” del coaching remoto è andato quindi gradualmente ampliandosi, fino ad uguagliare, secondo alcune ricerche, le dimensioni di quello erogato face-to-face.

Questa ampia diffusione, coronata da successi misurabili, non ha però impedito che il coaching on-line si portasse appresso un pregiudizio diffuso, che lo vedrebbe come una pratica inferiore, dall’efficacia affievolita rispetto ad una sessione live.

Il tipo di argomentazioni addotte a sostegno di questa tesi variano dalla difficoltà a stabilire un rapporto di fiducia sulla base di un contatto a distanza, al bisogno di consolidare la relazione attraverso la contiguità fisica e materiale con il coach.

Ma quanto c’è di vero in questo in queste affermazioni? Sono sufficienti a concludere che il coaching in presenza sia preferibile a quello remoto? Ma soprattutto, ci troviamo nel dominio delle opinioni o dei fatti, per dirla con la terminologia che userebbe un coach?

Se ci atteniamo ai fatti, sembra in realtà che le cose non stiano affatto come sostengono gli scettici del coaching a distanza: una meta-analisi sull’efficacia del coaching in ambito organizzativo in termini di ricadute sulla performance – pubblicata sul “Journal of Occupational and Organisational Psychology” [1] – prova esattamente il contrario e cioè che non c’è alcun differenziale di efficacia tra il coaching in presenza, quello “blended” e quello totalmente “online”. Questo risultato si riscontra regolarmente nella totalità degli studi presi in considerazione dall’analisi citata.

Veniamo ora alle opinioni: queste evidenze sono in linea con la mia ultradecennale esperienza (simile a quella di molti altri coach), nel corso della quale ho avuto modo di sperimentare che la sessione remota, al contrario di quanto si possa pensare, permette al coachee di concentrarsi maggiormente sulla propria interiorità, con un numero minore di distrazioni.
Lo stesso si può dire anche per il coach, che riesce ad attuare un ascolto ancora più focalizzato e selettivo, concentrandosi sul qui ed ora che il canale digitale impone alla sua attenzione attraverso la ineludibilità di uno schermo di un dispositivo digitale.
Spingendomi oltre, questo vantaggio è ancora maggiore quando la sessione è svolta al telefono anziché tramite sistemi di video conferenza. Per quanto suoni paradossale, la conversazione telefonica permette al coachee di prestare maggiore attenzione alla ricerca di risorse personali che non alla gestione della relazione face-to-face con il coach, che drena ed assorbe una buona parte delle sue risorse attentive.

Mi è infatti capitato spesso che alcuni clienti riuscissero ad affrontare tematiche difficili ad un livello molto più profondo nel corso di conversazioni telefoniche, che permettono di creare una situazione di particolare concentrazione ed intimità. In questo setting, la mancanza di accesso ai segnali non verbali emessi dal cliente è ampiamente compensata da una acuita attenzione alle sfumature analogiche della voce e del paralinguaggio, che veicolano ugualmente informazioni preziose sulla situazione emotiva di chi parla.

Questo non implica però che il coaching remoto e quello in presenza presentano delle specifiche peculiarità, di cui il coach deve essere consapevole per gestirsi al meglio nei diversi contesti.
Nel coaching online, ad esempio, è fondamentale assicurare una qualità di connessione audio-video stabile e performante, collegarsi da un ambiente di lavoro luminoso, tranquillo e silenzioso, schermato da rumori e interferenze; curare la distanza dalla webcam in modo tale poter mettere in luce i dettagli del viso e delle espressioni facciali dei due interlocutori. In aggiunta, l’utilizzo di cuffie o, meglio ancora, di auricolari con microfono permette di ridurre il rimbombo acustico ambientale e di aumentare la qualità sonora.
Per rinforzare il contatto oculare con il coachee, inoltre, il coach dovrà usare l’accortezza di guardare più spesso possibile la webcam (anziché lo schermo) per aumentare la naturalezza dell’ interazione, che a quel punto differirà ben poco da quella in presenza.

Alla fine di questa breve disamina c’è anzi da dire che alcune funzionalità del collegamento audio-video offrono possibilità aggiuntive di stimolo e di interazione, che ci permettono addirittura di parlare di coaching “aumentato”: l’utilizzo della funzionalità della chat, ad esempio, permette di affiancare un canale di comunicazione scritta che si affianca a quella orale, inviando all’occorrenza brevissimi “commenti” (o anche solo delle emoticon) senza interrompere il flusso dell’esposizione del coachee.

La possibilità riservata al coachee (previo consenso esplicito del coach), di registrare la sessione, fornisce inoltre una preziosissima possibilità di riascolto della sessione in un momento successivo, che può consentire ulteriori insight accrescendo la consapevolezza e consolidando gli apprendimenti in modalità differita.

L’elenco potrebbe continuare a lungo, e sono convinto che l’evoluzione della tecnologia amplierà ulteriormente le potenzialità del coaching online.

Concludo dicendo che se è vero, come dice Bill Gates, che “tutti hanno bisogno di un coach”, credo che non ci sia mezzo migliore delle tecnologie digitali per promuovere il coaching e renderlo disponibile a tutti, abbattendo le distanze che ci separano da chi ci può concretamente aiutare a raggiungere i nostri obiettivi ,di vita o di lavoro.
Alberto Marino, PCC-ICF, CEO e Founder di DOYOUCOACH

[1] Per chi fosse interessato ad approfondire trova qui un abstract qui: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/joop.12119https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/joop.12119